“Non è una questione di tecnicalità normativa ma di sostanza politica e identitaria. Norme come quelle anti-rave configurano un metodo da Governo di polizia”. A sostenerlo è Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla prestigiosa Columbia University di New York.

Molto si discute sulle norme anti-raduni annunciate dal Governo. Lei come la vede?
Mi sono letta l’articolo 434-bis. Va detto innanzitutto che c’è un uso truffaldino delle parole al fine di disorientare l’opinione pubblica e a mettere in discussione uno dei principi basilari della nostra Costituzione. Partiamo dall’articolo 17 della Costituzione, che prevede che “delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. E veniamo al testo dell’Art. 434-bis che consente di reprimere la “invasione per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica …commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. In quel “può” c’è il segno distintivo del governo. Si tratta di un uso truffaldino di una possibilità che si sostituisce a motivi comprovati, ovvero non prove ma soltanto indizi presuntivi. Una presunzione di colpevolezza sancita prima che avvenga il fatto. Una cosa che non appartiene agli stati di diritto. Io spero che siano presentate istanze di incostituzionalità di una norma siffatta alla Corte costituzionale. Seconda annotazione. Grande rilievo è stato dato alla dichiarazione della Presidente del Consiglio che ha detto di rivendicare quel primo atto del suo governo con orgoglio perché “è a tratti simbolico.” La repressione preventiva dei raduni rave come gesto simbolico! Ovvero si usa la legge repressiva contro un gruppo specifico per dare un segnale ad altri! Si parla a suocera perché nuora intenda… Un uso arbitrario del potere che fa venire la pelle d’oca.

Di cosa si tratta, professoressa Urbinati?
Come si sa, e questo non dovrebbe sfuggire a chi è chiamato alla guida del Governo, le leggi non devono essere mai ad personam o ad gruppum (se lo sono, sono decreti non leggi), ma sono generali nel senso che si applicano a tutti coloro che con i loro comportamenti possono rientrarvi. Il Governo ha colpito i rave perché sa di poter contare su un ampio appoggio a fronte del fatto che sono ben pochi coloro che sostengono le ragioni di quelli che vengono raccontati come degli “sgangherati”. Ma in realtà il Governo attaccando i rave ha pensato anche ad altro. Perché in quella normativa più di cinquanta persone possono destare le preoccupazioni del primo questore zelante che ritiene che ci “può” essere danno al bene pubblico. Qui siamo al capovolgimento di un principio fondamentale dell’ordinamento giudiziario di uno stato di diritto. Si passa dalla presunzione d’innocenza alla presunzione di colpevolezza. Allora si capisce che con la scusa dei rave si fa ben altro. Ma anche se fosse solo riferita ai rave, la norma è ugualmente gravissima, perché queste persone diventano oggetto di repressione come gruppo identitario, ovvero in quanto tali non per quel che fanno. Dalla caduta del regime fascista e delle famigerate norme contro gli ebrei, la repubblica democratica esclude a priori che si facciano leggi che colpiscono alcuni per ciò che sono. E’ evidente che il 434-bis non menziona alcun gruppo – c’è uno stato di diritto, ancora!–, ma è scritta pensando a gruppi di persone identificabili come preventivamente pericolosi. Questa è una forma di discriminazione che bolla l’identità, che taglia corto sull’ingiunzione costituzionale circa “soltanto per comprovati motivi.” I motivi sono qui comprovati dall’identità del gruppo, che “può” fare danno. Già questo dovrebbe essere sufficiente per escludere qualsiasi giustificazione a queste normative. Che Meloni le abbia considerate come segno simbolico ci conferma la vocazione autoritaria del suo Governo.

Ma è un Governo di destra. Di che ci si meraviglia?
Io non mi meraviglio che un Governo di destra faccia queste cose. Io mi meraviglio, per non dire altro, di come abbiamo sottovalutato tutto e abbiamo lasciato passare Fratelli d’Italia come se fosse una destra come tutte le altre. Così non è.

Perché?
Perché una destra che viene da una cultura politica fascista non è come le altre, che ci piaccia o no. Nemmeno la destra di Salvini è la stessa cosa; una destra populista, roboante, ma che non ha quella base ideologia poliziesca d’ordine autoritario e gerarchico che il ventennio fascista ha lasciato in eredità alla destra neo-fascista. Tant’è che il primo segno distintivo di questo Governo è l’uso del pugno duro sulla libertà di associazione. Questo è un problema serissimo. Noi abbiamo consentito che loro vincessero…

E adesso?
Adesso dobbiamo fare una opposizione che sia all’altezza. Il Presidente Mattarella ha firmato quel decreto, forse per evitare da subito una situazione di tensione tra le istituzioni, le quali dobbiamo sperare che facciano bene il loro dovere. In questo caso le magistrature e la Corte costituzionale. Occorre far sì che questo Governo di destra autoritaria incontri tutti gli ostacoli istituzionali e politici di cui una democrazia costituzionale matura dispone. Quella del Governo Meloni non deve essere una passeggiata, ma una dura camminata piena di ostacoli, quegli ostacoli che i governi autoritari che cambiano le costituzioni vogliono togliere o alleggerire.

Qualche tempo fa Enrico Letta ha evocato un Pd “pugnace”.
Lo vorrei vedere pugnace. Questo è il momento di mostrarlo. Se non riesce nemmeno adesso ad esserlo, allora è meglio chiudere baracca e burattini. Per fortuna ho ascoltato qualche buona parola di Orlando o di qualche altro rappresentante. Ma il problema non è la parola di qualcuno. Non è questo il punto. E’ la coralità che deve emergere di fronte a questi fatti gravissimi. Di fronte a questo Governo che ha i “tratti simbolici” che appartengono ai governi di polizia. Occorre reagire. Qui si tratta di opposizione politica e di un buon funzionamento, come dovrebbe essere, delle istituzioni di una democrazia che è costituzionale: ovvero che divide i poteri, che ha contrappesi e controllo di costituzionalità delle decisioni prese dalla maggioranza, che non ha l’esecutivo nel posto più alto. Least but non last, c’è l’Europa. Perché il gradino superiore di controllo è quello. C’è una Corte europea dei diritti che è molto agguerrita e che bisognerà cominciare ad usare, come fanno i cittadini di paesi autoritari come l’Ungheria e la Polonia.

Lei ha sottolineato la sottovalutazione di una destra identitaria dai marcati tratti autoritari. Ma questa sottovalutazione non chiama in causa anche una certa informazione mainstream pronta a salire sul carro del vincitore di turno, anche se questo vincitore, o vincitrice, è dentro quella cultura da regime?
Ci sono tanti livelli di responsabilità. Per molti italiani il fascismo è stato spesso soltanto un fenomeno folcloristico. Gagliardetti e saggi dei figli della Lupa nelle piazze dei paesi. C’è un sottofondo di giustificazione che permea la nostra rappresentazione del passato fascista per quello che il regime ha fatto, con alcuni punti critici legati a specifici comportamenti (per esempio le leggi razziali del 1938 che ormai sono l’unico segno distintivo del regime, un male che ci siamo lavati, dice Meloni). Altri paesi, come la Germania o anche la Spagna, hanno tenuto un atteggiamento molto più severo e serio. La questione delle origini socio-economiche e sociali e soprattutto della mentalità non solo delle specifiche decisioni o scelte, da noi non è mai stata discussa a livello di formazione politica della cittadinanza democratica. Non abbiamo del resto avuto la nostra Norimberga. Rovesciando il discorso, anche sul fronte antifascista si è molto spinto sul pedale della propaganda. La Resistenza, il 25 Aprile, le celebrazioni annuali davanti ai sacrari dei martiri del nazi-fascismo: cose importantissime, ma a volte e per troppo tempo solo celebrative e solo ad appannaggio di chi ha vinto quella guerra civile. Il fascismo doveva essere non solo combattuto ma sradicato. Un lavoro di formazione di una cittadinanza che sa riconoscere il fascismo come segno di quel che non è democratico, per espungerlo. E oggi siamo qui, con un Governo guidato da quella parte che non ha scritto la Costituzione (che ora vuole cambiare, quasi a vendicarsi per quell’esclusione) e commentatori che ripetono quel che è tutto fuorché ovvio, che il regime fascista appartiene al passato, e con esso l’ideologia fascista. No, non è così. Diceva Umberto Eco c’è stato il regime ed è finito. Ma il fascismo non è solo regime – che appartiene al passato—ma anche una ideologia, una visione delle relazioni tra cittadini, tra loro e lo Stato, tra legge e ordine, tra diritti e autorità. L’ideologia c’è ancora. E su questa ideologia occorrerà parlare. E poi ci sono le accondiscendenze. Non parlerei tanto di una stampa mainstream, che pure c’è, quanto dell’opinione generale. Perché a parte alcuni quotidiani, e tra questi Il Riformista o altri che comunque sono minoranze, la voce che si sente più forte nel paese, cioè nelle Tv pressoché tutte e, con pochissime eccezioni, nei giornali, è questa: il Governo Meloni è stato eletto democraticamente, la destra non è più quella di una volta, il fascismo è morto nel ’45, lasciamo che il Governo di destra governi, proprio come hanno fatto i vari governi di centro-sinistra. È questa litania di eclatante superficialità e di correità che ci deve preoccupare. Ci aspetta un tempo difficile, quindi, e questo anche a causa di un’egemonia culturale che è tutto fuorché di sinistra. L’egemonia che vige nella opinione cosiddetta pubblica è quella di uno status quo molto compromissorio e codino con chi ha potere.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.