L'intervista
Intervista a Nadia Urbinati: “Destra favorita da legge elettorale malevola”

Campi larghi, campi minati. E poi Meloni trumpista e le chance della sinistra. Quanto poi al Renzenda… Temi caldissimi. Il Riformista ne discute con Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla prestigiosa Columbia University di New York.
Campi larghi, campi minati. Patti che si stringono e che si sciolgono in una manciata di giorni. Come la vede, professoressa Urbinati?
I “campi larghi” sono stati pensati in un tempo nel quale si prevedeva la fine naturale della legislatura, nella primavera del 2023. E forse ci sarebbe stato il tempo per consolidare qualcosa. Forse c’era anche il tempo per cambiare la legge elettorale. Questo anticipo di gioco ha cambiato i piani, anche perché i 5Stelle hanno preso la posizione che sappiamo…
Lei come se lo spiega? E come giudica la posizione tenuta da Conte?
Una posizione estremamente ingenua e imprudente. Assunta non per malizia o chissà per quali calcoli politici, ma per un mix d’incapacità e ingenuità. Conte, a mio avviso, non pensava proprio di arrivare fino alla crisi di Governo. La palla al balzo è stata presa sia dalla destra sia dallo stesso Draghi che aveva capito che da quel momento il suo Governo sarebbe stato investito dalla bufera della campagna elettorale, col rischio di mettere a rischio la propria autorevolezza. Quanto poi al tema delle alleanze che si fanno e disfanno in un battibaleno di cose da dire ce ne sarebbero tante…
Proviamoci…
Mi sembra che sia difficile per coloro che operano come leader, come candidati e noi come cittadini, comprendere appieno le implicazioni di questa legge elettorale. Una legge malevola…
Perché?
Perché se si vuole non perdere, questa legge impone di trovare il modo di allearsi anche col diavolo. E questo è difficile da fare in politica, perché se è vero che i partiti devono avere delle identità che siano non mescolabili facilmente a quelle di altri, che siano distinguibili, allora quando gli si chiede, come adesso, di mettersi insieme anche “contro natura”, tutto diventa problematico. Questa legge elettorale è fatta presumendo non partiti, con dei confini, con delle identità, ma leader che fanno il gioco usando i partiti come si usano le carte al poker. È questo il problema serio. Dopodiché siamo capaci soltanto di alleanze elettorali, ovvero strumentali al massimo, senza pensare a quanto questo può cambiare il proprio partito? Questa legge elettorale presume o leader senza partiti o partiti che ragionano con assoluto cinismo. Ed è difficile. E non perché le persone non siano capaci di essere ciniche, ma perché questo implica riuscire a fare un discorso di strumentalismo tale per cui tutto va bene purché si vinca. E qui lo scontro si fa impari.
Destra e sinistra hanno le stesse difficoltà?
La destra non ha la stessa difficoltà dei suoi competitori. E questo perché la destra può essere strumentale su una base comune. È facile essere “comuni” a destra, con l’anti-universalismo dei diritti, con un nazionalismo che vuole vincere ad oggi costo e cambiare la stessa Europa rispetto a quella che era stata pensata dai suoi fondatori. Questa è la base comune. Poi litigheranno pure in casa, senza farlo vedere fuori, ma resta il fatto che hanno una base comune uguale per tutti. Per loro è più facile perché hanno meno visioni normative. Hanno visioni strumentali. Chi invece ha visioni normative, può essere lo stesso Calenda con la sua idea di Governo tecnocratico, competente, o il Pd con l’attenzione al sociale. Queste sono visioni normative. E come tali sono molto più complicate da adattare strumentalmente a tutte le alleanze.
Nel frattempo è nata, con un gioco di parole “Renzenda”. Sarà un lampo o è il vero riformismo? S’interroga questo giornale. Lei come la vede?
Non è “vero” riformismo perché le “vere” cose in politica non sono mai tali completamente. Lasciamo stare il “vero” e il “falso”. Riformismo io non so cosa voglia dire se non vogliono o non sono in grado di dirmi che cosa vogliono riformare. Anche la destra può essere “riformista”. Sono parole vuote. Circa la capacità attrattiva della loro alleanza, io credo che non vada da nessuna parte. Perché non hanno partiti. Sono loro stessi che giocano sui media per attirare audience. Anche se venissero eletti, e probabilmente loro due lo saranno, saranno rappresentativi di se stessi. Non hanno neanche movimenti strutturati dietro (anche se Calenda ha cercato di mettere in piedi un partito; ma lui è troppo ingombrante per far spazio ad una leadership plurale come è ogni partito) soltanto supporters, magari anche molti supporters, ma non è la stessa cosa. Io non vedo nulla su quel fronte.
I sondaggi la danno col vento elettorale in poppa. Giorgia Meloni sembra aver ricevuto pure l’endorsement di un portavoce del Dipartimento di Stato americano.
Vorrei sapere chi sia questo portavoce e che rapporti ha con i vertici del Dipartimento di Stato e con la Casa Bianca. È vero che Gorgia Meloni da quando ha fatto il suo discorso alla Convention repubblicana e poi ha preso posizione contro Putin, ha chiaramente posizionato se stessa dalla parte occidentale. Però io mantengo un certo scetticismo. Perché il suo rapporto con l’America è un rapporto con una parte, cioè Trump, il trumpismo e i repubblicani, che sono davvero tutto fuorché esempi di liberaldemocrazia. Quanto poi al fronte-Putin, anche qui sono dubbiosa. Perché è vero che lei ha criticato l’invasione dell’Ucraina. Ma è altrettanto vero che in varie occasioni ha espresso il suo favorevole giudizio (anche per criticare la sinistra, assumendola sempre e solo come “comunista ”) su “meglio Putin che l’Unione Sovietica”. Putin rappresenta per lei una evoluzione del precedente regime, nonostante questo non sia né più liberale di prima né più democratico, mentre certamente è capitalista a differenza di quello precedente. La sua posizione, similmente a quella dei repubblicani americani, è una posizione molto “strabica” rispetto ai valori democratici e liberali. Mentre è molto chiara sui principi socio-economici, che sono quelli dl capitalismo e del libero mercato. Se ci accontentiamo della “libertà” economica, lei c’è dentro, indubbiamente. Ma sulla libertà civile e politica, è molto manchevole. Fratelli d’Italia sono un partito immerso nella tradizione reazionaria.
E quello che si sta muovendo a sinistra, come lo valuta?
Credo che il Pd possa avere adesso, dopo la rottura operata da Calenda, l’opportunità, senza infingimenti, di aprirsi a quel mondo “ignoto”. Perché molti di quella parte di non votanti, di astenuti, degli incazzati, dei delusi, noi non sappiamo se cambieranno idea sul Pd semplicemente perché il Pd non sta più con Calenda, anche perché è stato quest’ultimo a rompere e non viceversa. È tutta una scommessa. Ecco perché, a mio parere, anche questi sondaggi trionfalistici sulla destra vanno presi con le pinze. Probabilmente vincerà, però c’è una parte di non elettorato che potrebbe diventare elettorato attivo, e che nei sondaggi non si esprime perché si tratta di una realtà fluida. Non sappiamo che cosa bolle in quella pentola là. È certo che molto dell’astensionismo è di sinistra, non di destra. Se si vuole quanto meno contenere la vittoria della destra occorrerebbe rivolgersi a quel mondo lì. Non c’è bisogno di diventare Che Guevara.
La scelta dei candidati è importante?
È chiaro che in alcuni collegi uninominali dove vivono persone di condizioni disagiate e dove c’è stato un forte astensionismo, vanno indicati quei candidati che possono attirare quell’elettorato. Le faccio un esempio. Va benissimo Cottarelli al Nord, perché al Nord si mangia quella “minestra”, ed è la “minestra” della tecnocrazia. Lì si combatte su quel terreno. E allora bene Cottarelli contro la Lega. Ma se lo avessero messo in Campania o in altri collegi del Sud, sarebbe stato un fallimento certo. Con questa legge elettorale i partiti dovrebbero prestare grande attenzione ai territori. E proporre candidati che bene si attaglino a quella determinata situazione, soprattutto nei collegi uninominali. Se il Pd riuscirà a fare questo, qualcosa potrà raccogliere, in particolare al centro e soprattutto al sud, dove i voti dei 5Stelle sono completamente volatili. Nei collegi uninominali è decisiva la figura del candidato.
Scrive Angela Azzaro in prima su Il Riformista: “In tanti si sono schierati contro la candidatura di Elisabetta Piccolotti alle prossime elezioni”. La sua colpa? “Essere la moglie di Nicola Fratoianni”, leader di Sinistra Italiana. Tra i tanti guasti della politica italiana c’è pure la misoginia?
Più che di misoginia parlerei di “familismo”. Lo stesso è accaduto con la moglie di Franceschini. C’è misoginia perché sono le mogli a dover subire questo e non i mariti. E visto che i mariti dominano, le mogli sono in genere a traino. Ma qui c’è anche la dimensione personalistica, privata, che ha acquistato un ruolo importante nella costruzione dell’opinione politica. E di questo ha una pesante responsabilità l’informazione, perché se io leggo la “moglie di Fratoianni”, e non conosco la storia personale, professionale, della persona in questione, il danno è fatto, la persona è marchiata ed è costretta quasi a giustificarsi. Questa è propaganda è disinformazione. E qui entrano in gioco i partiti, che devono essere molto chiari. Ogni candidato dovrebbe essere accompagnato da una piccola biografia che giustifichi la ragione per cui è candidato. Questa sarebbe una novità enorme. Un fatto democratico, più trasparente.
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