È stata intercettata per 6 mesi. La sua “colpa”? Essere la giornalista italiana che ha raccontato, come pochi altri, le nefandezze libiche, svelando atrocità e connivenze che hanno riguardato anche l’Italia. La vicenda di Nancy Porsia è paradigmatica di come lo Stato di diritto nel nostro paese è sottoposto all’attacco di un potere che si sente onnipotente: la magistratura. Il Riformista l’ha intervistata.

Per contestualizzare politicamente la vicenda-Libia che ti riguarda, vorrei partire dalla strettissima attualità. Dalle affermazioni del presidente del Consiglio Mario Draghi che a Tripoli si è congratulato con le autorità libiche per il loro impegno nei salvataggi in mare. Tu che questa storia la conosci come pochi altri, cosa pensi dell’uscita di Draghi?
Mi sembra che quello usato dal presidente Draghi sia un codice diplomatico che tende a salvaguardare delle relazioni delicate con la Libia. Tecnicamente non possiamo parlare di salvataggi ma dovremmo parlare di intercettazioni. Qualora ci siano dei salvataggi in mare, sono quelli operati nella maggior parte dei casi dai pescherecci, dai pescatori che vedono barchini in mare in pericolo e quindi cercano di portare le persone in salvo. E spesso chiamano la Guardia costiera libica che neanche prontamente si adopera per la tutela e la salvezza di queste persone. Le operazioni che invece vengono portate avanti direttamente dai militari libici sono, tecnicamente, delle intercettazioni. Nel senso che le persone in fuga, che in prima battuta sono fuggite dal loro paese sono in fuga anche dalla Libia. La Libia da anni non è più il paese di destinazione, se non per pochissimi egiziani piuttosto che marocchini o tunisini, lavoratori stagionali ma sono sempre meno, è diventato un paese di transito e addirittura anche di emigrazione, nel senso che scappano anche i libici. Mi pare che il quadro sia abbastanza chiaro. Quando vengono presi dai militari libici praticamente vengono riacciuffati dalle persone da cui scappano. Cosa diversa è quando vengono recuperati dalle Ong, da mercantili commerciali piuttosto che da navi militari europee, perché in quel caso non essendo la Libia un porto sicuro, tecnicamente, anche se cercano di venderci anche quest’altra menzogna, qualunque entità europea ha l’obbligo di portarli in un porto sicuro vicino, e il porto più vicino è in Europa. I militari libici compiono intercettazioni e non salvataggi. Quello che Draghi ha detto a Tripoli , lo definirei un “latinorum diplomatico” che però non ha nulla a che vedere con una descrizione aderente, diretta di quello che accade.

Cambiano i governi, le maggioranze, i primi ministri, ma quello che sembra non cambiare mai è la “guerra” ai testimoni scomodi: prima le Ong, ora i giornalisti d’inchiesta come te. Con le intercettazioni siamo alla seconda fase di questa “guerra”?
Non c’è un prima e un dopo. Parlerei di una contemporaneità di questo attacco a 360 gradi a tutti i testimoni scomodi, che all’epoca dei fatti erano sia giornalisti sia Ong. Tant’è che i giornalisti sono stati tirati in ballo in una indagine che puntava a trovare illeciti da parte delle Ong. Vedi, la parte per me inquietante e allarmante è che io come giornalista ma soprattutto come cittadina non indagata, sia stata intercettata non perché al telefono con altri indagati, ma che la mia utenza telefonica sia stata messa sotto controllo, con una sospensione dei miei diritti tutelati dalla Costituzione. Altri colleghi sono finiti nelle intercettazioni perché parlavano con persone indagate, tra l’altro indagate, dal mio punto di vista, anche per un motivo politico ben preciso, però lasciamo che questo sia la magistratura a definirlo. E facevano bene il loro lavoro se parlavano con persone indagate perché erano quelle che avevano informazioni importanti, che noi giornalisti utilizziamo per fare al meglio il nostro lavoro, e non perché commettevano illeciti. Il problema nel mio caso è che al di là del fatto di essere finita nelle intercettazioni quando ancora il mio numero di telefono non era sotto intercettazione – vedi aprile, maggio e giugno, perché anch’io parlavo con Msf, padre Zerai e altri – a un certo punto inizio a essere intercettata e pedinata con tecnologia gps per 6 mesi. La magistratura si è appellata all’articolo 266 comma 2 del codice penale, che consente di intercettare soggetti non indagati, violando il mio diritto alla privacy e il mio diritto come cronista ad avere fonti. Questo articolo rappresenta una extrema ratio a fini investigativi e quindi andrebbe utilizzato con estrema parsimonia. Evidentemente i magistrati di Trapani non sono stati così “parsimoniosi” nel cercare di mantenere salvi i miei diritti. Io capisco che cercassero una pista, ovunque essa fosse, ma evidentemente nel mio caso non l’hanno trovata, visto che non c’è riga delle mie conversazioni nell’informativa finale su cui verrà istruito il processo. Di fronte a tutto questo, provo rabbia. Perché non è bello sapere che oggi tante persone hanno accesso alle mie conversazioni private. Tante persone e tanti colleghi mi chiamano commentando le mie conversazioni. Loro non avrebbero dovuto leggerle. Poi fanno il loro lavoro, ma non avrebbero dovuto. Sono mie conversazioni private che ora vengono passate al lanternino da decine e decine di persone. Questo è un danno inquantificabile. Ma lo è meno, e questo dovrebbe dare la misura della gravità di questa vicenda, rispetto alla violazione della tutela delle mie fonti.

Una sorta di intimidazione indiretta…
Direi ancora di più. Si è parlato tantissimo di quello che c’era in quei brogliacci, trascrizioni che tra l’altro non dovevano neanche essere allegate al fascicolo depositato in Procura, perché non c’è rilevanza investigativa. Ma il grande assente sono le conversazioni per me più delicate. Io so cosa ho detto in quei 6 mesi per telefono. E le cose più delicate ancora non sono venute fuori. Io spero vivamente di trovarle in quelle carte….

Perché?
Perché se non sono in quelle carte, vuol dire che sono state intenzionalmente prese e messe da parte. E non so quando le potrebbero tirare fuori. Perché se tu ci fai caso non c’è una conversazione con nessuna delle mie fonti libiche. Sono conversazioni tra colleghi che lasciano il tempo che trovano. C’è la conversazione con la mia legale, Alessandra Ballerini? Sì. Con altri due legali? Sì. E questa è un’aperta violazione del rapporto fiduciario tra un legale e il suo assistito, o tra una giornalista e un avvocato, come nel caso di altri avvocati con cui interagivo perché ero coinvolta come corrispondente su procedimenti penali. Gravissimo, però poi di fatto sono tutte conversazioni tra colleghi. Io mi chiedo: dove sono le conversazioni con le mie fonti? Quando le vorranno tirare fuori? Che utilizzo se ne intende fare? Non ci credo che proprio quelle loro non le abbiano intercettate…

Soprattutto le tue fonti libiche, che poi sono quelle che rischiano di più, visto che cosa è ancora oggi la Libia.
Certo. Per questo dico che il mio caso ha una sua specificità. Perché so perfettamente su che cosa stavo lavorando e a che livello lavoravo. Da inchiestista sul campo, in Libia, e so quale livello di profondità avessi raggiunto. Un livello talmente tanto profondo da poter contro argomentare la narrativa del governo. E dove sono le conversazioni con le mie fonti? In che mani sono finite? Per quale utilizzazione? Lo ripeto: io so che cosa ho detto al telefono in quei mesi. Ma non c’è traccia di quello che io so che ha una importanza. I colleghi che finiscono nelle intercettazioni perché al telefono con degli indagati, è una cosa grave che, però, il codice penale prevede, anche se c’è poi l’articolo della Cedu (la Corte europea dei diritti dell’uomo) e della Costituzione che tutela le fonti giornalistiche. Io non finisco nelle intercettazioni. Io vengo intercettata, pur essendo una persona né indagata né indiziata. E il fatto che nessuna delle conversazioni che mi riguardano siano finite nell’istruttoria finale, è la conferma che quelle indagini siano state pretestuose per ascoltarmi. Pur volendo all’inizio legittimare questa voglia degli inquirenti di battere tutte le piste, ok due settimane, un mese, ma 6 mesi no.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.