Parla il leader di Si
Intervista a Nicola Fratoianni: “La sinistra non può affidarsi a Conte, l’antipolitica non costruisce niente”

Sinistra, identità vo cercando. Nel Pd, oltre il Pd. Il Riformista ne discute con Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana, rieletto alla Camera.
«Il Pd rappresenta la parte progressista della mentalità borghese, il suo consenso è quello dei ceti medi riflessivi: consenso da conservare, ma alla sua sinistra va organizzata una grande e credibile forza popolare. Sia chiaro però: non è roba da grillismo». Così Mario Tronti in una impegnata intervista a questo giornale. Lei come la vede?
C’è un’esortazione nell’intervista di Mario Tronti che non va sottovalutata. Quel ‘damose da fà’, quell’invito ripetuto a fare un lavoro serio e di lunga lena è la chiave della postura con cui dobbiamo cominciare questa legislatura. C’è una sinistra che indulge nella crisi in una forma che proprio mentre viene presentata come “analisi della sconfitta” finisce per trasformarsi in un meccanismo cognitivo che aiuta il perdurare degli elementi di difficoltà. La crisi della sinistra è ormai quasi un genere letterario, una disciplina della sociologia e della filosofia politiche che negli ultimi due decenni ha riempito i nostri scaffali di volumi sulla fine, sulla morte, sulla sconfitta, sul crepuscolo della esperienza storica della sinistra. Guardatela dal punto di vista di un ventenne: cosa può farsene di una sinistra animata da dirigenti politici e intellettuali che da decenni scrivono soltanto delle proprie sconfitte? Grazie a quelle analisi oggi abbiamo chiari i vettori di un mutamento che ci ha scalzati da troppe realtà sociali, ma si tratta oggi di trovare la strada per tornarci, anche sperimentando visioni, strumenti, connessioni e progetti nuovi. Se penso al 3,6% di Alleanza Verdi e Sinistra penso a una pre-condizione affinché nei prossimi anni sia possibile fare una parte di questo lavoro. Non credo – e non ho mai creduto, altrimenti non sarei qui – che una rappresentanza politica affidata solo a Pd e 5 Stelle avrebbe potuto, per ragioni diverse, porsi davvero il tema della costruzione di una sinistra intesa come una credibile forza popolare del cambiamento. Come giustamente sottolinea Tronti, il Pd ha sulle spalle il peso di un cedimento, la convinzione che fosse il momento di archiviare la critica al capitalismo contemporaneo per gestirne invece i processi. Dall’altra parte i 5 stelle hanno un corpo sociale forgiato sulle spinte anti-politiche, è difficile immaginare che possano davvero farsi interpreti di una cultura politica della complessità, che guardi ad una trasformazione strutturale del sistema economico e sociale: sono riusciti a piantare bandiere a terra, ma non vedono quasi mai che intorno a quelle bandiere non si produce una riorganizzazione dei legami sociali.
Sostiene Tronti: “Non si è capito che per contrastare questa destra ci voleva una sinistra. Questo non da oggi. Ma da quando la crisi della globalizzazione neoliberista aveva riproposto, in termini nuovi, che andavano analizzati e poi politicizzati, la centralità della questione sociale. Almeno qui da noi, questa non è una destra illiberale, è una destra sociale. Se a una destra sociale contrapponi una sinistra liberale, la sconfitta è già segnata”.
La globalizzazione ha riproposto la centralità della questione sociale aumentando con impressionante velocità la dimensione delle disuguaglianze a livello globale. In fondo il movimento no global lo aveva già capito a Genova, più di vent’anni fa. Lo slogan del forum alternativo al G8 era “voi 8 noi 6 miliardi”. Nel frattempo la popolazione mondiale è cresciuta e insieme a lei sono cresciute le disuguaglianze sociali, ambientali, generazionali e di genere. Di fronte alla paura di un futuro sempre più incerto e della perdita di ogni protezione la destra mondiale ha organizzato un discorso fondato sul primato dell’identità, sia essa nazionale, etnica o religiosa, come rifugio sicuro di fronte alla paura. Una buona parte delle sinistre ha risposto con l’impianto liberista sul terreno economico e con quello liberale sul terreno dei diritti civili. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. E non è un caso che dove la sinistra torna a crescere o a vincere lo fa rimettendo al centro la giustizia sociale e la giustizia ambientale. Ma è ovvio che si tratta di una strada lunga e non scontata che richiede una grande radicalità sul terreno dell’elaborazione e del pensiero critico e nel contempo una coerenza con le pratiche e i comportamenti. E, aggiungo, richiede di recuperare la categoria del conflitto come strumento fondamentale di lettura della società e di organizzazione della politica. Ecco, la rimozione del conflitto mi pare la ragione più profonda della crisi di una parte della sinistra.
“Vedo tanti avvoltoi e sirene attorno al Pd”. Così questo giornale titola una articolata e pungente riflessione di Michele Prospero. “Lo vorrebbero morto, perché è ancora un partito- è la sintesi -. Non sopportano i partiti. Senza Pd non c’è sinistra”. Il suo pensiero?
Non c’è dubbio che negli anni che abbiamo alle spalle sia cresciuto un certo disprezzo nei confronti dei partiti e più in generale verso i corpi intermedi come forma di organizzazione collettiva. Certo è, anche, che questa tendenza non è stata efficacemente contrastata, per non dire che è stata aiutata, dall’incapacità dei partiti di riorganizzarsi ripensando le forme della rappresentanza, linguaggi e pratiche dell’organizzazione capaci di incrociare le trasformazioni della società senza per questo diventare solo dei comitati elettorali virtuali.
Quello su cui avanzo qualche dubbio è che il destino della sinistra dipenda esclusivamente dalle sorti del Pd. Nella costruzione di un campo di alleanze plurale in grado di contrapporre alla destra un’altra idea del nostro Paese quel “consenso da conservare” di cui parla Tronti è senz’altro necessario e infatti, noi ci siamo battuti fino all’ultimo perché l’esito della partita sulle alleanze fosse un altro, ma questo non significa che quel partito, nel cui corpo e nel cui consenso c’è certamente anche una parte della sinistra di questo Paese possa rappresentarla tutta.
“Se è vero che il populismo ha dato voce al qualunquismo, tradizionale bacino astensionista, allora in questo bacino è attualmente presente una parte non meno ma più politicizzata di opinione. Soprattutto di sinistra, che non ha trovato più un’offerta politica corrispondente ai propri bisogni, alle proprie aspirazioni, anche ai propri ideali. Allora è lì che bisognerebbe andare a pescare”. Questa la lettura che dà Tronti. E la sua?
Nella crisi di partecipazione c’è certamente un elemento che ha a che fare con l’insoddisfazione per le proposte politiche presenti, da parte di un segmento di popolazione molto politicizzato e pure refrattario e forse anestetizzato. È una condizione che interroga la sinistra. Ma ancora di più, io credo che sulla scelta dell’astensione incida la percezione della sostanziale inutilità della politica nel modificare le condizioni di vita materiali delle persone. L’idea per cui nulla cambi, a prescindere dal proprio voto, si è progressivamente fatta strada nella testa e nel dibattito intorno alla politica. È come se la politica non sia più, o sia sempre meno, il terreno per una battaglia collettiva per le sacrosante rivendicazioni di uno stipendio adeguato, di servizi pubblici essenziali di qualità e all’altezza delle proprie necessità. Una parte sempre più grande di persone sembrano dire “facciamo da noi, se ci riusciamo”. Questo è un problema soprattutto per la sinistra e per le realtà politiche che puntano alla protezione sociale, basata sulle rivendicazioni collettive, più che sulle paure individuali. La consapevolezza di questo problema richiede in maniera ancora più pressante il rilancio di un partito, di una forma organizzata, capace di intercettare e mobilitare in senso sociale e politico, prima che elettorale, le persone che percepiscono inutilità.
Che ne sarà ora dell’alleanza Sinistra Italiana-Verdi? È stata una esigenza elettorale o c’è una prospettiva?
Discuteremo insieme ad Europa Verde come proseguire perché è con loro che abbiamo costruito questa proposta. Quel che penso io è che l’Alleanza possa e debba proseguire saldando non solo le organizzazioni che l’hanno fatta nascere, ma soprattutto le ragioni che sono alla sua base. L’incrocio inseparabile tra la lotta per la giustizia ambientale e quella per la giustizia sociale rappresenta la chiave per leggere ed affrontare le contraddizioni di questo tempo. La crisi climatica aumenta drammaticamente le diseguaglianze perché non scarica i suoi effetti su tutti e tutte nello stesso modo e contemporaneamente non tutte eguali sono le responsabilità nell’acuirsi di quella crisi. Ora, dopo un risultato elettorale che definisce le condizioni di possibilità, occorre insistere, dare solidità alla proposta politica e programmatica e lavorare perché l’Alleanza Verdi Sinistra possa farsi punto di riferimento per chi, nel Paese, ha costruito e quotidianamente costruisce esperienze di innovazione sul terreno democratico e sociale, penso alle reti civiche, ai movimenti e alla relazione con le generazioni più giovani. Tra loro in particolare – dove il consenso alla nostra lista è stato particolarmente significativo – vedo il segno di una inversione di tendenza, il ritorno alla politica e al conflitto, la ricerca di soluzioni che facciano i conti fino in fondo con una dimensione del futuro che in questi anni è stata messa in discussione proprio dall’acuirsi di questa doppia crisi, quella climatica e quella sociale.
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