La crisi della rappresentanza
Intervista a Sergio Cofferati: “La sinistra riparta da uguaglianza, libertà e giustizia”

Una vita nel sindacato, nella Cgil, della quale è stato segretario generale dal giugno 1994 al settembre 2002. Poi una esperienza da primo cittadino di una città importante come Bologna, di cui è stato sindaco dal 2004 al 2009. E poi europarlamentare dal 2009 al 2019. In sintesi, Sergio Cofferati.
Ora che il governo Draghi è varato, a sinistra si discute, e si litiga, sulle alleanze. C’è chi punta, come il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, su un’alleanza strategica Pd-5Stelle-LeU . In una intervista a questo giornale, Mario Tronti ha ribattuto: «La piccola coalizione che si vuol mettere in campo non basta a sconfiggere la destra. Gli elettorati dem e 5s non sono componibili, c’è un’incompatibilità di fondo sull’idea stessa di politica. Bisogna andare per la propria strada, fuori c’è un mondo da attraversare e organizzare. Ora che non ha più l’assillo di tenere in piedi un governo, il Pd deve pensare a se stesso». Come la pensa in merito?
Tronti è una persona molto acuta, per cui non fa fatica a pensare in grande. Il problema c’è, nel contingente, quando la politica è sostituita da tecnici o presunti tali nella funzione di rappresentanza governativa. Ma la sinistra non ha solo il problema di che fare adesso, ma ha il problema, questo sì non contingente, di recuperare un profilo diventato pallido, quasi trasparente ormai da decenni. La crisi della sinistra in molti Paesi del mondo, in particolare in Europa, è cominciata con il suo approccio sbagliato con la globalizzazione. Le ha assegnato un valore astratto, mai dimostrato, non rendendosi conto, degli squilibri e dell’accentuazione delle fragilità nel mondo che la globalizzazione ha prodotto. I meccanismi redistributivi sono stati alterati a vantaggio dei più forti e a danno dei più deboli. E un discorso analogo può essere fatto per i meccanismi di rappresentanza. Nella globalizzazione hanno prevalso orientamenti recessivi anche culturalmente: se la competizione, nella globalizzazione, è fatta sul prevalere della riduzione dei costi del prodotto e non sulla conoscenza e sul valore del prodotto e del come lo si produce, il disastro è garantito. Però questo è capitato. E in Europa è capitato con la teorizzazione della Terza via che era la somma della rinuncia alla propria storia, da parte della sinistra, e della proposta di una storia nuova, senza contenuti e senza valori. Una storia imitativa di quella degli altri, con “valori” che spesso erano sotto valori, addirittura ostili e negativi verso quella parte di persone che noi, sinistra, abbiamo sempre rappresentato: i più deboli. Quello che bisognerebbe fare è ripartire da lì. Scegliere quali sono le priorità che, secondo me, sono, in sequenza, i diritti individuali e quelli collettivi; la democrazia e i suoi modelli di rappresentanza; i processi di coinvolgimento, sia nella conoscenza e nell’esercizio della democrazia delle persone. Quelle persone che più si sentono rappresentate e rispettate e più guarderanno a te con fiducia, cosa che oggi non capita. Anche le esplosioni delle forme di sovranismo e di nazionalismo nascono da lì. Perché i valori dello stare insieme in una dimensione più grande, più larga, sono stati vissuti, e in parte lo sono anche oggettivamente stati, come vantaggio per la parte ricca del mondo, e non come vantaggio dei più deboli e più poveri. Per cui la richiusura in una dimensione di sovranità, anche piccola, illude di potersi difendere meglio. La sinistra deve ripartire da lì. E deve lavorare nella rappresentanza politica e istituzionale per dare a quell’idea e ai valori di un tempo, i fondamenti: uguaglianza, libertà, giustizia. Grandi temi che non fanno più parte dell’operato quotidiano della sinistra nelle sue varie forme organizzative. È chiaro che senza una condivisione di valori, la pratica politica viene svilita e le persone che hanno bisogno sono, paradossalmente, le prime ad allontanarsi da chi storicamente le aveva divise.
L’appello che Tronti lancia nella sua intervista è: «La sinistra vada a riprendersi gli operai che votano Lega, gli emarginati delle periferie che scelgono Fratelli d’Italia. E cerchi disperatamente di offrire garanzie per il futuro delle giovani generazioni».
Ha ragione Tronti. Per poter recuperare, però, le persone che lavorano, operai e non solo, gli emarginati, i giovani, bisogna offrirgli una idea degli strumenti per risolvere efficacemente i loro problemi, ma anche dei valori. La sfida di tutti i giorni è in primo luogo la coerenza. Non puoi proporre valori essendo poi il primo a dare segnali non dico sbagliati ma equivoci. E poi serve la volontà di parlare. La sinistra è stata storicamente l’area delle forze che discutevano, anche animatamente, ma guardando in faccia il proprio interlocutore. Adesso non c’è più nulla. In qualunque parte della società di oggi, le persone vogliono parlare, ma dove vanno? S’infilano nella rete. Che è uno strumento utile se accompagna il confronto diretto, diversamente i social media diventano luoghi distorsivi. Questo sforzo va fatto, con il coraggio di sopportare, come giusto che ci sia, anche una forte critica per quello che non sei stato in grado di fare ma che soprattutto non hai voluto fare. Questo vale per ogni dimensione, anche sovranazionale. Non si può parlare dell’Europa solo quando hai delle esigenze drammatiche. È un grave errore, in una fase in cui l’Europa mostra attenzioni che non aveva soltanto qualche anno fa, non riproporre il problema della riscrittura dei Trattati. Non devi chiederle soltanto l’aiuto, devi chiedere anche di cambiare. E trasferire funzioni e competenze che sono tue, verso le istituzioni europee. La battaglia va fatta lì. Nel ripensarsi, la sinistra deve avere un rapporto sano con il suo passato. C’è una narrazione, che purtroppo ha attecchito anche nel campo progressista, che legge il passato come un insieme di sconfitte e di arretramenti. Suggerirei di leggere lo Statuto dei lavoratori: in quel testo c’è qualcosa di straordinariamente attuale, e progressivo, che va difeso soprattutto oggi, quando siamo chiamati a ripensare il futuro in ogni ambito dell’agire umano. Nello Statuto si rivendicano i diritti individuali e collettivi che sono quelli che realizzano la dignità della persona. Ripensare il lavoro, le sue forme e organizzazione, tutelando i diritti e la dignità delle persone. È la sfida del futuro su cui, io credo, la sinistra e i progressisti si giocano tutto.
Uno dei valori che ha fatto parte per decenni del vocabolario delle sinistre, è stato quello dell’”unità”. Eppure in ogni passaggio cruciale, anche in quello che ha dato vita al governo Draghi, ciò che prevale sembra essere la scissione, talvolta anche la scissione dell’atomo, vedi la spaccatura dentro LeU tra Sinistra Italiana ed Articolo 1. È una sorta di maledizione per la sinistra?
Potrebbe non esserlo. Io credo che sia molto importante avere soggetti larghi, nei quali convivono anche opinioni diverse. L’importante è che siano condivisi i valori di base. In alcuni Paesi del mondo, forze progressiste hanno queste dimensioni. Si pensi al laburismo inglese, ad esempio. Non è così in Francia, non è così in Italia, è cosi negli Stati Uniti, dove i progressisti sono uniti nel Partito Democratico. Il partito deve essere uno. E deve essere in grado di ospitare le articolazioni nella rappresentanza e nella realizzazione di quei valori. L’essere capaci di tenere insieme quelli che hanno opinioni diverse. Oggi non è più il momento di rappresentarli separatamente. Questo vuol dire avere disponibilità da chi è minoranza ad accettare il principio della maggioranza numerica, e di chi è maggioranza numerica di accettare le regole che sono proprie del confronto quotidiano con chi è minoranza ma vuole, ragionevolmente, portare le sue opinioni a un confronto serrato, anche di carattere operativo. È la forma partito, che nel sud d’Europa è quella storicamente acquisita, che mostra i suoi limiti. Io penso che la sinistra debba ragionare anche di questo.
Sia come parlamentare europeo e, prima, come segretario generale della Cgil, lei ha incrociato Mario Draghi. Oggi da più parti lo si dipinge come una sorta di demiurgo, salvatore della patria. Chi è per Sergio Cofferati, Mario Draghi?
Io penso che il valore della persona sia fuori discussione. E per una ragione semplicissima: parla il suo percorso, le responsabilità che ha assunto, il ruolo che ha svolto in passaggi economici e sociali molto difficili. Il giudizio è inequivoco. Il problema, oggi, non è il valore di Mario Draghi. È il carattere dispersivo, frantumato, inconcludente della politica italiana. Siamo arrivati a un livello che nessuno si sarebbe aspettato. Nel mentre nasce un Governo che dovrebbe essere quello che ci porta fuori dal dramma sanitario ma anche economico e sociale, e questo Governo ha alla guida una personalità di così alto livello, la politica non sa far altro che mostrare la sua incapacità a gestire l’emergenza. Una maggioranza larghissima, sia alla Camera che al Senato, si è espressa a favore del governo Draghi, nel contempo tutti i partiti, credo con l’eccezione del Pd almeno per ora, si sono frantumati. Qualcuno ha perso delle schegge, qualcun altro pezzi più consistenti. Voglio vedere tra un mese come sarà il panorama di Camera e Senato e la collocazione di deputati e senatori rispetto a come sono arrivati lì, a chi li ha eletti, su quale linea sono stati eletti e quale linea rappresentano adesso. È un problema davvero molto delicato sul versante della rappresentanza politica. Il valore di Draghi è fuori di discussione. Le difficoltà enormi del Governo, secondo me, lo sono altrettanto.
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