Il mestiere della Sinistra nel ritorno della Politica (Castelvecchi). È il titolo dell’ultimo libro di Stefano Fassina. Economista, parlamentare in più legislature, dal 2000 al 2005 ha lavorato al Fondo Monetario Internazionale. È stato responsabile Economia e Lavoro nel Pd guidato da Pier Luigi Bersani e poi viceministro dell’Economia e delle Finanze nel governo Letta.

Dopo la cocente sconfitta elettorale nel Pd, è iniziata la corsa all’autocandidatura a segretario. Il Pd è un partito riformabile?
Mi permetto di commentare le vicende del Pd perché è una forza politica sistemica e decisiva per una proposta progressista di governo. Lo faccio con rispetto e affetto per una comunità in sofferenza e che mi ha dato tanto. E mi associo al suo direttore nel mettere in guardia da richieste di scioglimento, naïf o strumentali. Vengo alla sua domanda sulla riformabilità del Pd: con la conferma delle “primarie” per incoronare il/la segretario/a, contenuta nella lettera di Enrico Letta a iscritti e iscritte, la riforma è manutenzione ordinaria, nel migliore dei casi straordinaria, ma non può essere ricostruzione. Per una ragione semplice: con le primarie, la scelta della linea, non soltanto del leader, è affidata alle constituency elettorali in essere e ai grandi media mainstream. Le analisi del voto per classi sociali, in particolare i dati di Tecné di Carlo Buttaroni, indicano che il Pd è, da tempo e nettamente, il primo partito tra “dirigenti e quadri” e rappresenta prevalentemente impiegati e professionisti della cultura, classi medie relativamente garantite, attive e in quiescenza. Alla fine del congresso, tali stakeholders incoroneranno la figura nella quale si riconoscono e che porta avanti i loro interessi: forse più giovane e di sesso diverso dagli ultimi segretari, ma in continuità dietro il cambio estetico.

Quindi, nessuna discontinuità sostanziale dal congresso del Pd?
Gli stakeholder del Pd sono preziosi, irrinunciabili per una credibile coalizione di governo. La manutenzione congressuale, dopo la botta elettorale, potrebbe far maturare un Pd più autonomo e più consapevole dell’interesse nazionale nella sua funzione di garante del vincolo esterno atlantico ed europeo e un Pd più sensibile agli interessi delle periferie sociali. Sono condizioni necessarie per un’alleanza progressista espansiva con il M5S guidato da Giuseppe Conte. Un’alleanza tra classi sociali complementari, dato che il Movimento è, testa a testa con FdI, il primo partito tra gli operai, mentre stacca tutti gli altri tra precari e disoccupati. Ma va compresa, innanzitutto, la fase.

Nel suo libro, “Il mestiere della Sinistra nel ritorno della Politica” (Castelvecchi), con una appassionata e appassionante postfazione di Mario Tronti, segnala che siamo ad un “tornante storico” . Che vuol dire?
L’ha ricordato con straordinaria lucidità Rino Formica su queste pagine, altro “grande vecchio” come Mario Tronti, a conferma della statura morale e intellettuale delle classi dirigenti politiche della cosiddetta Prima Repubblica, maledette dalla “rivoluzione passiva” di Tangentopoli: siamo ad un tornante storico, non soltanto per l’Italia, ma per tutte le democrazie consolidate dell’Occidente. La guerra scatenata da Vladimir Putin all’Ucraina, è la confutazione ultima e definitiva, sigillata con il sangue, della fase fantasiosamente raccontata come “fine della Storia”. Si profetizzava, allora, l’avvento irreversibile del “mondo piatto”. Si preannunciava, sulle macerie ancora fumanti del Muro di Berlino, il dispiegamento di una sconfinata prateria liberal-democratica: il mercato globale dove, senza intralci politici, avrebbe regnato sovrano il consumatore e le istituzioni liberali avrebbero meccanicamente seguito le privatizzazioni a tappeto. Era la favola scritta dai vincitori della “Guerra fredda”.

Invece, è andata in modo drammaticamente diverso. Perché?
Rispondo con le parole di Papa Bergoglio, pronunciate ad Assisi qualche giorno fa, nel suo intervento a conclusione dell’assemblea “The Economy of Francesco”: dopo quattro decenni dall’ascesa politica di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, siamo “all’insostenibilità sociale, ambientale e spirituale” della regolazione neo-liberista del capitalismo. Sottolineo l’aggettivo spirituale, non meno rilevante degli altri due oramai diffusi. Siamo arrivati ad un “Momento Polanyi”, ossia ad un passaggio corrispondente a quello avvenuto negli anni ‘30 del secolo scorso: la società, in particolare le classi medie, domanda alla Politica protezione. Protezione sociale e protezione identitaria per resistere allo spiaggiamento economico e allo sradicamento culturale. In Italia, lo hanno spiegato tra gli altri, li cito nel libro, sociologi di orientamento diverso come Mauro Magatti e Onofrio Romano, allievo del profetico e purtroppo poco letto a sinistra Franco Cassano.

Come siamo arrivati qui?
Nel primo degli 8 “memo” del mio libro, ripercorro le puntate precedenti alla guerra all’Ucraina. All’inizio del 2020, la diffusione globale della devastante pandemia da Covid-19, ri-legittima lo Stato come garante ultimo della sicurezza e sgonfia l’ideologia dell’auto-regolazione del mercato. Ma già prima, almeno dalla “Grande recessione” del 2008, era visibile la destabilizzazione indotta dai liberi movimenti di capitali, merci, servizi e persone: le 4 libertà assolutizzate dall’ordine mercatista. A partire, dato estremamente significativo, dalla rivolta delle working class nei due epicentri dell’offensiva neo-liberista scatenata negli anni ‘80: a Giugno 2016, nel Regno Unito, con il Si al referendum su Brexit e, qualche mese dopo, negli Usa, nell’ “inconcepibile” approdo di Donald Trump alla Casa Bianca .

Come risponde la Sinistra che fa il suo mestiere?
Innanzitutto, con il coraggio intellettuale di affrontare l’integralismo della concorrenza. Il livello delle disuguaglianze economiche, sociali, culturali, esistenziali è effetto della circolazione, senza rete di protezione sociale, di capitali, servizi, merci e persone, in un mercato unico europeo esteso a Stati a tassazione minima e salari poveri. Si mettono in concorrenza i welfare State, non le imprese: dumping sociale, fiscale e contrattuale. È l’interpretazione prevalente dei Trattati europei. È in contraddizione con la nostra Costituzione dove, in particolare agli articoli 41 e seguenti, le 4 libertà economiche sono legate inscindibilmente a fini sociali. È conformismo culturale ignorare tale punto messo in luce, con il faro dei “controlimiti”, da giuristi del calibro di Cesare Salvi, Massimo Luciani e qualche giorno fa anche da Andrea Manzella: “il primato del diritto dell’Unione è necessario, … non significa però rinuncia ai principi supremi dell’ordine costituzionale, quelli che esprimono l’identità nazionale, come scritto nell’ordinanza n. 24/2017 della Corte Costituzionale.” La destra, in forme spesso irricevibili, pone un nodo vero per la questione sociale.

Nel suo libro insiste anche sulla “protezione identitaria”. Che vuol dire?
Svalutazione del lavoro e precarietà della vita, consumismo e mortificazione del sacro, immigrazione senza politiche per l’integrazione determinano smarrimento identitario, un dolore non meno acuto della sofferenza sociale. Per rispondere, la sinistra deve compiutamente far propria la cultura del limite: non soltanto nell’imbrigliamento sociale, come prescritto dalla nostra Costituzione, delle 4 libertà economiche per promuovere dignità del lavoro e conversione ecologica, ma nella difesa della maternità dal mercato e nella resistenza al disconoscimento sessuale dell’umano. Mi ha sempre colpito l’indifferenza dei cattolici nel Pd all’urgenza della traduzione politica del messaggio di Francesco, a parte qualche personalità come Rosy Bindi, Franco Monaco, Mauro Ceruti, Paolo Corsini, non a caso fuori da tempo dal partito, e l’esperienza dei Cristiano sociali, esaurita da anni, valorizzata soltanto da Bersani con Claudio Sardo alla Direzione de L’Unitá e Emilio Gabaglio a capo del Forum Lavoro. Purtroppo, la sinistra ufficiale paga la rimozione di Pier Paolo Pasolini. Se ne vergogna perché è stato profetico nel riconoscimento della declinazione liberista e consumista dei diritti civili. Lo ricorda Walter Siti. Nel libro, riporto il passaggio chiave che Pasolini avrebbe dovuto pronunciare, un paio di giorni dopo il suo assassinio, al congresso del Partito Radicale. Nel centenario della nascita, mentre la destra sociale e tradizionalista se ne appropria anche strumentalmente, dalla sinistra ufficiale non è arrivato neppure un twit.

Insomma, il vento di destra non è inarrestabile?
La destra, istintivamente, coglie le domande di protezione sociale ed identitaria ed offre risposte regressive. La sinistra ufficiale rimane, invece, sulla Terza via anni ‘90, mentre risposte progressiste arrivano, almeno per ora, fuori dalla famiglia socialdemocratica: in particolare dall’Unione trainata da Melenchon in Francia e, da noi, certo in forme ancora irrisolte, dal Movimento orientato da Giuseppe Conte. La corrispondenza tra le due esperienze sta nelle classi sociali rappresentate, non nelle personalità, diversissime, dei leader.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.