Nel suo film più essenziale e autobiografico, È stata la mano di Dio, Paolo Sorrentino sceglie ancora una volta Toni Servillo tra i protagonisti e gli regala la parte del padre. All’attore partenopeo, simbolo della Grande Bellezza, film che ha riportato l’Oscar in mani italiane, il compito di parlare del suo regista, del film, dei padri e di Napoli.
«Il papà di questo film – ha detto – ha avuto un epilogo tragico. Ci siamo però molto divertiti a raccontare certi padri che, sentendosi un po’ inadeguati al ruolo, finiscono per essere simpatici nella loro cialtroneria. La città e la sua mitologia consente al protagonista, il regista bambino, di avere una serie di stimoli. Paolo li mette in circolo e crea una connessione tra queste paternità che si alternano tra un mito e l’altro: il calcio, lo spettacolo, la religione e la famiglia propriamente detta. L’incontro del ragazzo con il regista che gli chiede se ha qualcosa da raccontare, mi sembra uno dei momenti più belli del film. Un altro è quando i due fratelli, ormai orfani, vanno ad osservare Maradona che si allena a fare le punizioni. È la distinzione che c’è tra il talento e la perseveranza, cercare tutti i giorni con disciplina il risultato».

Anche a Servillo chiediamo un parere sull’attacco di Le Figaro. «Quest’anno – risponde – ho avuto la fortuna di lavorare in tre film di grandi autori campani, diversi per linguaggio, tematiche e per la capacità che hanno di raccontare la storia e la sensibilità di questa città. È chiaro che poi, non solo amandola profondamente ma ritenendomi in debito costante nei confronti dell’eredità che Napoli ci consegna soprattutto nelle arti e nello spettacolo, mi auguro sempre il meglio. Io non saprei vivere in nessuna altra parte e amo profondamente questo terzo mondo».