La guerra Russia-Ucraina
Intervista ad Alexander Stille: “Biden straparla su Putin e fa il gioco dello Zar”
La guerra d’Ucraina vista da New York. La visione di Biden e un’America che guarda con diffidenza all’ “Orso russo”. Ed ancora: il marchio di Trump sul Partito repubblicano e un Paese che si scopre ancora più diviso di come Biden l’aveva ereditato dal suo predecessore. L’avvelenamento dei pozzi della democrazia continua. Il Riformista ne discute con Alexander Stille. Giornalista e scrittore statunitense, Stille collabora con prestigiose testate come The New Yorker e The New York Times, e insegna giornalismo alla Columbia University.
Il presidente Biden ha assunto una linea dura sull’Ucraina. Quanto seguito ha all’interno?
Ha un appoggio molto forte che abbraccia l’intera gamma ideologica del Paese. Un consenso trasversale che riguarda sia gli aiuti agli ucraini sia un’opposizione molto forte all’invasione russa dell’Ucraina. Direi che è una delle pochissime questioni che riesce a unire i due principali partiti. Il che è un po’ sorprendente, se solo si ricorda di come Trump fosse molto vicino a Putin. Anche alla vigilia dell’aggressione russa, Trump aveva descritto la possibile invasione dell’Ucraina come un colpo di genio da parte di Putin, mettendo in difficoltà i Repubblicani su questo punto. Ma i Repubblicani, quanto meno i vertici del partito e la stragrande maggioranza dei suoi congressisti, si sono comportati come se l’atteggiamento di Trump non fosse esistito, sposando in pieno la causa ucraina fino al punto di criticare Biden per non essere stato, a loro dire, abbastanza forte e abbastanza veloce nel mandare armi e offrire aiuti militari all’Ucraina. Nei giorni precedenti l’invasione, Biden era stato criticato, in America e soprattutto in Europa, per aver denunciato l’aggressione russa come imminente, sulla base di informazioni dell’intelligence americana. In quei giorni si parlò di avventatezza del presidente e dei suoi consiglieri, ma poi gli eventi successivi, a partire dal 24 febbraio, il giorno dell’invasione russa, convalidarono quella strategia. L’errore di Biden, a mio avviso, semmai è stato un altro…
Vale a dire?
Quando ha affermato a più riprese che Putin non poteva più restare al potere. Lo ritengo un errore perché penso che il compito degli Stati Uniti, della Nato e dei Paesi alleati, sia quello di difendere il diritto dell’Ucraina alla propria sovranità e di decidere come e da chi voler essere governati, ma questo non può sconfinare nel voler regolare i conti con il regime russo. Anche perché questa determinazione esplicitata finisce per fare il gioco di Putin …
Perché, professor Stille?
Perché Putin rappresenta questo conflitto come un conflitto tra gli Stati Uniti e la Russia ovvero la Nato e la Russia. Vale per Biden e lo stesso vale per la dichiarazione del segretario alla Difesa, Lloyd Austin, il quale ha dichiarato che uno degli scopi del sostegno militare alla resistenza ucraina è quello di indebolire la Russia. Non credo che siano errori esiziali, irrimediabili, certo è che queste esternazioni non aiutano, a mio avviso, a mettere l’accento con l’enfasi necessaria, come dovrebbe essere, sulla difesa dell’Ucraina e della sua sovranità statuale e territoriale. Certe uscite pongono la guerra nei termini che più giovano a Putin anche e soprattutto per mantenere il consenso interno, vale a dire quello di un conflitto che sta dentro la ripresa di una sorta di Guerra Fredda 2.0. Detto questo, resta il fatto che l’opinione pubblica americana, in larga maggioranza, ha un giudizio abbastanza positivo sul comportamento fin qui tenuto, quanto alla guerra, da Biden e dalla sua amministrazione. Grazie al sostegno immediato fornito dall’America e dai suoi alleati europei, la resistenza ucraina ha potuto manifestarsi con una forza e una compattezza che ha spiazzato i comandi russi e gli strateghi del Cremlino. Quello commesso da Putin è stato un grave errore di sottovalutazione dell’Occidente e anche dell’esistenza di un popolo ucraino che, come tale, difende la propria identità oltre che la propria libertà. In questo, l’errore di Putin non è stato solo e tanto di natura militare quanto culturale, storico, di visione. Certo, neanche gli aiuti militari dell’America possono ribaltare l’asimmetria militare esistente tra Russia e Ucraina, ma lo stesso Putin, nel suo discorso del 9 maggio, ha dovuto ammettere le pesanti perdite in vite subite dal suo esercito in Russia. E quest’ammissione non è poca cosa. Per tornare a Biden, il voto degli americani come commander in chief ha superato abbondantemente la sufficienza.
A proposito di voti. Quanto può incidere il giudizio tutto sommato positivo che gli americani danno sul comportamento di Biden sul fronte russo-ucraino, nel far risalire la china dei sondaggi, negativi, del presidente e dei Democratici in vista delle elezioni di midterm del novembre prossimo?
Questa è una grande incognita a cui non ho risposta. Dubito che da solo questo apprezzamento sul modus operandi di Biden nel conflitto, possa rovesciare una situazione complessivamente negativa per il presidente, perché di solito il pubblico americano basa le sue scelte, soprattutto nelle elezioni di midterm, sul tenore di vita, la situazione economica, il senso generale dell’andamento del Paese e raramente su questioni di politica estera. Sarei dunque un po’ scettico sul recupero dei Democratici nel breve periodo. Non c’è dubbio che la gestione della guerra ha aiutato Biden a risalire un po’ nei sondaggi, ma il tasso di approvazione dell’operato della sua presidenza resta ancora abbastanza basso. Il discorso cambia quando gli americani sono chiamati a votare il loro presidente.
In che senso il discorso cambia?
Andiamo al sodo. Mettiamo che gli elettori americani siano chiamati a scegliere di nuovo tra Biden e Trump. Se così fosse, allora sì che la questione della guerra diverrebbe più importante. Perché il Paese dovrebbe chiedersi se Trump, grande amico di Putin, sarebbe stato l’uomo giusto alla Casa Bianca per gestire questo conflitto oppure siamo stati fortunati di avere Biden a capo del Paese. Per cui potrebbe incidere più in là, ma dubito che avrà grande effetto nelle elezioni di mideterm.
Quanto aleggia ancora sugli Stati Uniti lo “spettro” di Donald Trump?
Tanto. Di recente ho fatto un viaggio in Italia, e tutti quelli con cui ho parlato sembravano meravigliati del fatto che Trump fosse ancora così pervasivo all’interno del Partito repubblicano e in una parte non marginale della società americana. Invece lui è ancora forte, in sella. Dopo il disastro dell’occupazione di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, si pensava che Trump sarebbe stato screditato per sempre, avendo aizzato una folla che ha cercato di dar vita a una specie di colpo di stato…
Invece?
Invece, dopo un primo momento di sgomento, anche nel suo campo, gli elettori repubblicani si sono schierati a favore di Trump. E hanno deciso di sposare la teoria del complotto da lui fomentata, e cioè che le elezioni del 2020 fossero state falsate dai Democratici, che la Casa Bianca gli era stata rubata, e che quindi il comportamento della folla quel 6 gennaio se non lodevole, era quanto meno comprensibile, perché Biden, secondo Trump e i suoi fans, è un presidente illegittimo che governa grazie a una frode elettorale. Un ladro di voti. Oggi Trump rimane in testa a tutti i sondaggi tra i possibili candidati repubblicani alla corsa per la nomination presidenziale, e in più i candidati nelle elezioni locali così come quelli che ambirebbero a correre per la nomination, imitano Trump il più possibile, assumendo posizioni di estrema destra. E così competono tra di loro su chi è più cattivo con gli immigrati, chi lo è con i transessuali o con gli omosessuali e così via. Il Partito repubblicano si sta spostando sempre di più verso l’estrema destra e in questo senso Trump ha marcato il territorio, oltre i confini stessi del sostegno personale, molto alto, di cui continua a godere.
Nel suo primo discorso da presidente, Biden affermò che la mission principale che si prefiggeva era di riunire un’America spaccata in due. Ci sta riuscendo?
Direi di no. Il problema principale degli Stati Uniti è che le divisioni che si sono viste durante il mandato di Trump, si sono aggravate ulteriormente. Oggi abbiamo la maggioranza degli elettori repubblicani che non riconosce la legittimità del sistema elettorale e del presidente in carica. Qui non siamo più nell’ambito della naturale contestazione politica propria di un Paese democratico. La red line è stata ampiamente superata. E quando una parte importante del Paese vive in uno stato di sfiducia totale, in cui milioni di persone non riconoscono la legittimità del sistema in cui vivono, la situazione si fa molto pericolosa. Perché quando si arriva a questo punto, la violenza, la frode, tutto viene legittimato, tutto è giustificabile. E la situazione è resa ancor più grave dai social media.
In che senso, professor Stille?
Nel senso che è molto facile credere in quello che uno vuole credere, senza la paura di essere contraddetto dai fatti. Perché insieme alla sfiducia totale nel sistema politico, c’è sfiducia totale nel sistema dei media. Basti pensare che il 30% degli americani rifiuta ancora di farsi vaccinare, perché non si fida degli studi governativi. Abbiamo un terzo del Paese che non si riconosce nelle istituzioni. E questo è un grosso problema, perché è molto difficile raggiungere queste persone. Se tu cerchi di convincerli che le persone che sono più a rischio vita nella pandemia sono quelle non vaccinate, la loro risposta è che queste sono informazioni “corrotte” fatte circolare da un governo corrotto e quindi, è la loro conclusione, “non mi fido”. E preferisco guardare questo o quell’altro sito web che racconta le favole a cui uno vuole credere. Stiamo parlando non di una sparuta minoranza ma di milioni di persone. Persone che sono influenzate e “arruolate” da un sistema “informativo” chiuso, impermeabile, che permette loro di vivere fuori dal sistema, e spesso in contrapposizione. E questo è davvero preoccupante.
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