Parla la sceneggiatrice di “Qui rido io”
Intervista ad Ippolita Di Majo: “Nessun premio a Venezia, ma il nostro Scarpetta piace al pubblico”
Qui ride lei. Si gioca facile sul titolo dell’ultimo film della (non) premiata (all’ultima Mostra del Cinema di Venezia) coppia Di Majo – Martone. Il sodalizio ha fatto bene a entrambi. In comunione di vita, arte, lavoro. «Condividiamo in pieno la gioia della scrittura e del set. Il nostro non è un lavoro, nel senso faticoso del termine. Ma un mestiere che abbiamo la fortuna di fare, ci piace e ci diverte» dice la sceneggiatrice Ippolita Di Majo, firma fra le più apprezzate — perché colta, intelligente, coraggiosa e curiosa — del cinema italiano. Gli stessi aggettivi calzano impeccabili anche a Mario Martone, regista e cosceneggiatore di Qui rido io. Quarto e consecutivo film, che i coniugi realizzano insieme (dopo Il giovane favoloso, Capri-Revolution, Il sindaco del Rione Sanità). «Mario e io siamo sposati dal 2010. Da Noi credevamo». Così, il cerchio si chiude. Quando per specificare l’anno delle nozze, lei cita un titolo di Martone.
Moglie e marito ora sono a Napoli, la città delle origini per entrambi. E nuovamente, sono sul set. Il prossimo progetto, sempre scritto “a quattro mani”, si chiama Nostalgia ed è tratto dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea. Se a Di Majo si chiede di un eventuale debutto del nuovo film al Festival di Cannes del 2022 (sulla Croisette Mario Martone manca da quasi vent’anni), lei risponde accorta: «Non dico nulla, sono napoletana e scaramantica. Vediamo come viene, cerchiamo di farlo bene». Le premesse sono ottime: «Il protagonista è Pierfrancesco Favino. Insieme a Francesco Di Leva e Tommaso Ragno». Il presente resta Qui rido io. A Venezia, in gara per il Leone d’oro, è stato travolto dagli applausi. Malgrado la materia sia delicatissima. Un ritratto del quotidiano, professionale e domestico, del monumentale attore e commediografo Eduardo Scarpetta (1853-1925). Istituzione nazional partenopea, che il film svela nei suoi pregi (teatrali) e difetti (famigliari). Luminosissima la discendenza artistica. Fra i suoi figli, Titina, Eduardo e Peppino De Filippo. Scarpetta non li riconobbe mai. I fratellini, lo chiamavano zio invece di papà.
Il protagonista di “Qui rido io” è Toni Servillo che — a meraviglia — interpreta Eduardo Scarpetta. Con Mario Martone, l’attore ha girato sei film. Con Paolo Sorrentino ne ha fatti altrettanti. Servillo è più “martoniano” o “sorrentiniano”?
La parte di Scarpetta in Qui rido io è stata scritta apposta per Toni Servillo. Ed è il compimento di quarant’anni di amicizia tra lui e Mario. Toni ha iniziato al cinema con Martone (Morte di un matematico napoletano, esordio per entrambi e, nel 1992, Gran premio della giuria a Venezia, ndr.) e poi è stato straordinario con Paolo Sorrentino, come con altri registi. Non sento una contrapposizione. Semplicemente, Toni Servillo è un grande attore.
“Qui rido io” va oltre Scarpetta-Servillo. Sono numerosi, ad esempio, i personaggi femminili.
Su cui abbiamo lavorato molto. Sono donne che nascono e vivono in un assetto fortemente patriarcale. Le mostriamo forti, per quanto possibile capaci di determinare il loro destino. Sono legate da un rapporto di sorellanza e non di rivalità, nell’amore per lo stesso uomo: Eduardo Scarpetta.
Un grande artista, senza dubbio. Con altrettanta certezza, Scarpetta era distante dall’ideale di padre e di marito. Qual è il suo pensiero su di lui?
La stella polare — mia e di Mario Martone — è un giudizio di Eduardo De Filippo su suo padre (in una intervista rilasciata a Luigi Compagnone, in cui il giornalista e amico chiede a De Filippo se Scarpetta fosse un genitore severo oppure cattivo, ndr.). «Mio padre — dice De Filippo — era un grande attore». Abbiamo seguito l’artista Scarpetta e la morale, del tutto amorale, della sua tribù. Una famiglia-compagnia teatrale, dove tutti lavorano insieme, si accoppiano, si riproducono. Abbiamo guardato la sua vita senza giudicare. E fatto emergere elementi, ai nostri occhi negativi e dolorosi. Ma viene alla luce anche la sua forza, la creatività, la vitalità.
Il film è ambientato a inizio Novecento, nella città dove lei è nata. Un centro ricco, vivacissimo, baciato dal benessere della Belle Époque. Come sta oggi Napoli?
Ha momenti buoni e momenti cattivi. Napoli va a ondate. A me sembra sia in un buon periodo. Ma non ci vivo, abitiamo a Roma. Il mio non è il parere più equilibrato. Guardo la mia città, con gli occhi della nostalgia.
A proposito… state girando “Nostalgia” nel rione Sanità.
Da ragazzi, alla Sanità nemmeno potevamo entrare. Era una zona chiusa, con un alto livello di criminalità. Oggi, tutta la prima parte del quartiere è diventata un posto stupendo. Ci sono i turisti stranieri, pizzerie, ristorantini, bed and breakfast. È un esempio. Ma occorre mantenere il risultato raggiunto. E provare a fare qualche passo avanti.
Un passo indietro. A Venezia avete sperato in un premio?
Anche Il giovane favoloso ricevette un’accoglienza straordinaria (ma venne snobbato dal palmarès della Mostra, nel 2014 ndr.). Per Qui rido io, non attendevamo premi e non ci siamo sorpresi dal non averne avuti. Certo, un riconoscimento ci avrebbe fatto felici. E credo sarebbe stato anche meritato.
Un passo avanti. Pensate a una possibile designazione agli Oscar (il verdetto entro novembre), per rappresentare l’Italia ai prossimi Academy Awards?
No, non ci stiamo pensando. Lavoriamo al nuovo film, ed è una fortuna. Per l’Oscar, si vedrà. Qui rido io ha una distribuzione americana, un aspetto importante che ci fa molto piacere.
Dopo il secondo fine settimana nelle sale, l’incasso di “Qui rido io” è di oltre 700 mila euro. Alle spalle di “Dune” e “Shang-Chi e la Leggenda dei dieci anelli”, filmoni che strizzano l’occhio ai teenagers.
Il riconoscimento più importante viene sempre dal pubblico. E non uso la parola “pubblico” in termini di successo. Mi riferisco al desiderio di un artista di scambiare con gli altri. Gli spettatori ci scrivono da tutta Italia. Messaggi incredibili sul loro coinvolgimento, la loro gioia, il regalo che gli abbiamo fatto con questo film.
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