“Sono un’insegnante precaria e militante antifascista, mi voglio battere per il diritto all’istruzione, i diritti dei lavoratori e dei precari, per contrastare le destre radicali e ogni forma di intolleranza”. Ilaria Salis immagina il suo futuro lontano dal carcere di massima sicurezza di Budapest, dove da poche settimane è uscita per trasferirsi agli arresti domiciliari, ma al suo “pozzo” non ha ancora detto addio.

Ne parla in un’intervista a Repubblica quest’oggi, ricordando quei giorni di terribile prigionia, vissuti nel mezzo 39 anni, a causa del processo per tre episodi di lesioni ai danni di neonazisti, sperando che le prossime elezioni europee possano costituire un punto di svolta. Racconta della sua prigionia, dei 466 giorni in Ungheria: “Il giorno peggiore è stato quando ho saputo che non potevo comunicare con nessuno, nemmeno con lamia famiglia. Avevo una sola ore d’aria al giorno, il tempo non passava mai. Ero sola, rinchiusa e senza contatti. Non avevo nemmeno un orologio. Poi le cose cambiano, ci si abitua, si trova un modo per sopravvivere”. Ma la sofferenza per Ilaria non è finita: “Il pozzo è anche trovarsi ai domiciliari all’estero in un processo in cui si rischiano 24 anni di carcere. Il percorso non è ancora concluso”. Il padre le è stato sempre vicino: “Mi ha fatto avere due libri, l’Inferno e il Purgatorio di Dante, contrassegnati dalle mie note. Poi fogli su cui ho scritto molto”.

Esposta alla gogna

Le sue immagini in cui ha partecipato alle udienze con le catene ai piedi e alle mani hanno fatto il giro del mondo: “La cosa che più mi turbava era il rumore metallico, l’essere esposta alla gogna. Qui le immagini delle udienze vengono trasmesse ogni sera sui telegiornali. Ma non ho chiesto di oscurare il mio volto, era importante mostrare che con quei ceppi vengono legate persone vere, con le proprie storie e le proprie emozioni”.

Candidata alle Europee

Il futuro di Ilaria Salis sarà più chiaro il prossimo 8-9 giugno. Da candidata con AVS spera in un’elezione al Parlamento Europeo, che vorrebbe dire tornare ad essere una donna libera: “Mio padre continuerà il lavoro che ha iniziato in campagna elettorale, il mio passaggio dalla cella alla polizia è stato brusco. Definirò presto le modalità di un intervento diretto. A Bruxelles vorrei occuparmi dei diritti umani dei detenuti in Europa e in Italia. Ne approfitto per ringraziare chi mi ha offerto questa possibilità. Ma un vero punto di svolta non c’è stato, ripeto, non sono ancora uscita dal pozzo. È la stessa battaglia di tutti coloro che si trovano a subire analoghe situazioni di ingiustizia”.

Il suo futuro però è ancora da insegnante: “Purtroppo per colpa dell’arresto non ho potuto partecipare al concorso pubblico a marzo, ma appena potrò voglio contare ad insegnare. Amo il mio lavoro e mi è mancato durante questo anno”.

Redazione

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