La dichiarazione congiunta di Mosca e Pechino
Invasione dell’Ucraina: la Russia dichiara guerra ai valori occidentali con il beneplacito della Cina
Non sono fulmini a ciel sereno le smanie imperiali di Putin e la sua volontà di creare una Russia – o una Unione euroasiatica inginocchiata al Cremlino – che coincida con le frontiere della ex Unione sovietica. Nemmeno l’ossessione del panrussismo e le sue paranoie da gigante accerchiato senza barriere naturali a difendere i confini lo sono. Tanto poco segreta era l’ambizione di Impero di Putin da essere stata messa nero su bianco, con tanto di dettagli, in un documento pubblico e assai pubblicizzato firmato da lui e dal presidente cinese Xi Jinping venti giorni fa a Pechino durante la inaugurazione dei giochi olimpici. Una dichiarazione di guerra all’Occidente. Paginette fitte fitte di impegni comuni e concessioni reciproche che siglano un’alleanza per disegnare un nuovo ordine mondiale.
Un documento che esplicita piuttosto minacciosamente le intenzioni di scardinare gli equilibri geopolitici del pianeta come sono adesso per ridisegnarli come Mosca e Pechino vorrebbero che fossero. Sulla copertina c’è scritto Dichiarazione congiunta della Federazione russa e della Repubblica popolare cinese sull’ingresso delle relazioni internazionali in una nuova era e lo sviluppo globale sostenibile. Tradotto: il mondo secondo noi, testo a cura di Vladimir Putin e Xi Jinping. È una demolizione dei valori occidentali fatta con toni nemmeno tanti sommessi. Spaventosa. La premessa è questa: “È sorta una tendenza alla ridistribuzione di potere nel mondo e la comunità internazionale ogni volta di più la richiesta di una leadership intenta allo sviluppo pacifico e graduale”. Quindi quelle che d’ora in avanti nel documento vengono burocraticamente chiamati “le parti”, cioè i due giganti Russia e Cina retti da sistemi antidemocratici, dicono che stanno abbozzando una visione comune per un nuovo ordine mondiale. Aiuto.
Scrivono chiaro chiaro che c’è “un ridistribuzione di potere nel mondo” e il solo fatto di scriverlo equivale a contestare l’egemonia occidentale e l’equilibrio dei poteri mondiali uscito dal crollo dell’impero sovietico, evento con cui Putin non ha fatto pace e pare capire non la farà mai.
Fanno un chiaro riferimento a Washington: “Alcuni attori che non rappresentano nulla più di una minoranza nella scala di forze internazionali, continuano a difendere strategie unilaterali per risolvere questioni internazionali e ricorrono alla forza”. Due settimane dopo aver posto la sua firma a questa bella premessa, Putin si annetterà il Donbass ucraino. “Le parti – e qui la questione si fa pragmatica – fanno un appello a tutti gli Stati perché proteggano l’architettura internazionale così come l’Onu l’ha disegnata e perché perseguano un autentico multipolarismo nel quale le Nazioni unite e il loro Consiglio di sicurezza svolgano un ruolo centrale e di coordinamento”. Putin e Xi Jinping si afferrano a quel diritto di veto che custodiscono come un tesoro prezioso con l’intenzione di farne un grimaldello per far saltare tutta la struttura geopolitica attuale che non è necessariamente identica a quella della fine della Seconda guerra mondiale perché dal ’45 a oggi la storia non s’è imbalsamata.
Lasciano intendere che useranno il consesso dell’Onu per giocare di sponda tra loro e tessere relazioni favorevoli alla affermazione di quel nuovo ordine mondiale che, spiegano subito dopo, intende fare a meno dei valori democratici occidentali. E qui arriva la sassata. “Le parti condividono l’idea che la democrazia è un valore umano universale e no un privilegio di un numero limitato di Stati”. Eccoli qua i calci nei denti che si appresta a darci Pechino. La Cina, cioè quell’orrido partito comunista cinese antidemocratico che s’è fatto Impero, vuole imporre il concetto che la democrazia non coincide con il modello occidentale, ma che esistono tante democrazie, Si inventa un modello variabile così da poter spacciare per democratico un sistema autoritario a partito unico in cui gli oppositori spariscono e non esiste la libertà d’espressione. Si legge nel testo che “democrazia è qualsiasi sistema rifletta gli interessi di tutti, la loro volontà, garantisca i loro diritti, soddisfi le loro necessità e protegga i loro interessi”. La definizione la conia la Russia – dove vige un autoritarismo crudele, l’opposizione è perseguitata, il sistema giudiziario è controllato dal Cremlino e gli oppositori non fanno una bella fine – e la Cina dove le elezioni libere non sanno cosa siano, al governo può stare solo il partito comunista cinese, non esiste la separazione dei poteri né la libertà di stampa.
Mosca e Pechino scrivono esplicitamente che “non esiste un modello unico per guidare i Paesi al rafforzarsi della democrazia”. Una frase utile a respingere senza argomentare nulla ogni critica di autoritarismo nei loro confronti venga pronunciata dall’Occidente. E per imporre con la forza della menzogna a muso duro l’assurdità che la democrazia sia una parola vuota da farcire a piacimento, anche con le persecuzioni degli oppositori, l’assenza di libere elezioni e il partito unico. Continuano: “Spetta soltanto al popolo di ciascun Paese decidere se il suo è uno Stato democratico”. E dalle formule definitorie passano alle dichiarazioni di intenti: “Le parti sono disposte a collaborare con tutti i soggetti interessati a fomentare una autentica democrazia”. Ecco il messaggio al resto del mondo: non c’è nessun bisogno di accettare il sistema democratico occidentale. Se c’è qualcuno in cerca di aiuto per sostenere modelli antitetici a quelli della democrazia occidentale, non si senta solo. Avrà l’appoggio di Russia e Cina, non male. Il sostegno russo e cinese a governi autocratici sostenuti da fiumi di soldi, tecnologia e servizi già si estende ovunque dall’Africa all’America del sud.
Poiché ogni Paese ha le sue caratteristiche e la sua cultura, scrivono i due, “il carattere universale dei diritti umani deve essere interpretato attraverso le lenti della situazione reale e concreta di ciascun Paese e i diritti umani vanno considerati e protetti d’accordo alla situazione specifica di ogni Paese”. I diritti umani non sono quindi universali. Lo vengono dicendo da tempo, ma il 4 febbraio a Pechino l’hanno scritto in un documento programmatico da sventolare in faccia al mondo. Ancora: “Le parti riaffermano il loro sostegno mutuo nella protezione dei loro interessi fondamentali e si oppongono a ogni ingerenza di forze esterne nei loro affari interni”. Qui la Russia incassa l’appoggio cinese al suo metodo antico di etichettare come nemico esterno, servo di servizi stranieri, qualsiasi germe di opposizione interna invisa al Cremlino. E fa mettere nero su bianco che “le parti si oppongono a una estensione della Nato”. È la prima volta che Pechino si affianca così platealmente a Mosca nel rifiutare un allargamento della Nato. E in cambio per il gran regalo, la Russia offre a Pechino il suo accordo a rifiutare ogni alzata di testa di Taiwan e consacra il principio dell’esistenza di una sola Cina di cui Taiwan (e le preziose rotte marittime che controlla nel mar della Cina) fa parte.
Ci sono nel testo riferimenti impliciti a proteste popolari sorte negli Stati ex sovietici come all’area in subbuglio del mare cinese. “Russia e Cina si oppongono alle intenzioni di forze esterne di infrangere la sicurezza e la stabilità delle regioni adiacenti comuni. Hanno intenzione di contrastare l’ingerenza di forze esterne nelle questioni interne di paesi sovrani in qualsiasi forma esse avvengano e aumenteranno la cooperazione negli ambiti citati”. Putin il 4 febbraio ha firmato questo testo con i Jinping, è tornato in Russia e s’è annesso il Donbass.
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