La testimonianza
Io, architetto delle prigioni libiche vi dico: barriere e repressione non bastano a fermare i migranti
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Il caso dell’espulsione del generale Almasri dall’Italia offre l’occasione per riflettere in parte anche sulla crisi libica, determinata dall’aggressione bellica e dalla questione migratoria. La mia esperienza come architetto, richiesto nei primi anni Duemila dal Governo di Tripoli in un progetto ONU per la realizzazione di nuove carceri, mi ha permesso di approfondire le dinamiche del Paese.
Nel 2003 dopo la riconversione politica di Gheddafi, le Nazioni Unite affidarono alla Libia la presidenza della Commissione per i Diritti Umani. Tra i primi atti del governo ci fu quello di creare un piano organico per le carceri a norma dei Diritti umani. La Libia ha caratteristiche territoriali particolari da rammentare: a nord ha una lunga costa che si affaccia sul Mediterraneo, mentre i suoi confini terrestri ad ovest, sud ed est sommano in totale oltre 3800 km, la distanza lineare tra Londra e Mosca. Un territorio difficile da controllare lungo tutte le frontiere che lo dividono dagli altri stati. Di fatto è un crocevia di migrazioni.
Contrariamente a quanto si pensa, la Libia non è l’origine di flussi migratori, essa ne subisce l’impatto iniziale senza strumenti adeguati. Molti dei migranti che penetrano nel territorio non superano il Sahara che inghiotte vite senza lasciare traccia. Collaborando con l’Università di Tripoli e con gli uffici governativi, ho conosciuto da vicino le complessità aggravate dalla guerra di aggressione voluta dalle potenze occidentali e dall’imperialismo monetario francese.
Dietro la scusa di eliminare la dittatura del Colonnello si mirava a fermare il progetto libico di una valuta africana indipendente che avrebbe messo fuori gioco la moneta francese. Oggi la Libia continua a chiedere sostegno come responsabilità storica dall’Europa e dall’Italia. Servirebbe pertanto una visione geopolitica condivisa e non egoistica. In quest’ottica, il Piano Mattei di Giorgia Meloni può rappresentare un passo importante per un riequilibro sistemico di quelle regioni: investire in Africa per offrire opportunità sul posto, riportando ad una economia circolare quelle popolazioni che fuggono dalla fame e dal disordine.
La “restituzione” alla Libia di Almasri risponde a ragioni di Stato ufficialmente inconfessabili. Esse probabilmente riguardano una parte del lavoro “duro” praticato in quelle regioni. Violenze non dichiarabili agli occhi dell’Occidente e dell’opinione pubblica. Responsabilità di quei regimi il più delle volte finalizzati alla dissuasione prima e ai respingimenti violenti poi sullo stesso territorio africano. Operazioni volte ad alleggerire l’epocale flusso migratorio.
Nella società di oggi, il modo in cui si descrivono i fenomeni ha un impatto enorme sulla percezione della realtà. Il modo stesso di come si osserva qualcosa ha la capacità di modificarla. Il modo in cui la descriviamo contribuisce a definirla. Questo vale a maggior ragione anche per gli atti politici. Le narrazioni dei mass media, tra visioni utopiche e scenari pessimistici, influenzano sia l’opinione pubblica che le stesse scelte politiche e non solo. I politici, sempre attenti al consenso, si basano su queste rappresentazioni per orientare le loro decisioni. In un periodo di crisi economica e sociale, il flusso dei migranti è diventato lo specchio di un disagio che la società non riesce a risolvere altrove.
Il sistema politico a fronte dei Diritti universali della persona umana, si esprime sulla tenuta dei principi costituzionali. Può essere il luogo in cui si affermano diritti e dignità oppure quello in cui vengono segretamente negati per la ragion di Stato. È più che ovvio quindi che il “lavoro” di respingimento duro compiuto dalla polizia libica, anche prima del governo Meloni, da tempo torni comodo ai paesi europei e non solo all’Italia. Tanto comodo ma ufficialmente esecrabile, come la Corte penale internazionale dell’Aia è venuta a ricordare con la condanna.
Barriere e repressione poliziesca non bastano. Solo cooperazione e responsabilità condivise possono affrontare questa sfida globale. Indipendentemente dalle toghe.
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