Tra le potenze che partecipano al grande gioco mediorientale, l’Iran è uno dei più importanti e allo stesso tempo più complessi. Oggetto e soggetto di un’enorme triangolazione geopolitica tra grandi e medie potenze, isolato dalle sanzioni internazionali, dilaniato dalla crisi economica, e con la rabbia di chi si sente sempre più oppresso dal sistema politico degli Ayatollah, la Repubblica islamica vive un periodo estremamente delicato.

Uscito dalla luce dei riflettori mediatici dopo la fine delle grandi proteste per la morte di Masha Amini – simbolo della difficile situazione delle donne nel Paese – l’Iran è oggi di nuovo al centro della scena, anche se in ombra. L’annuncio del ritorno della polizia morale, che in realtà non aveva mai cessato di esistere, rappresenta solo la punta dell’iceberg di un sistema che ribolle.
Dietro a questa nuova mossa di controllo della società, dal valore anche fortemente simbolico, vi è un impianto politico e geostrategico in grande fermento. Il dossier del programma nucleare non è ancora stato risolto, e Israele continua a lanciare avvertimenti sulla strategia da utilizzare nei confronti dell’altra potenza mediorientale. Nel frattempo la guerra tra le agenzie di intelligence continua, con il Mossad che colpisce fin dentro l’antica Persia per smantellare le cellule nemiche, e i proxy dell’Iran, dalla Jihad islamica a Hezbollah, che continuano a essere protagonisti ai confini dello Stato ebraico.

In tutto questo gli Stati Uniti sanno di essere un pilastro di questo equilibrio tra Israele e Iran. Il presidente Joe Biden, in questo non distante dal suo precessore dem Barack Obama, non ha mai nascosto di volere raggiungere un nuovo accordo riguardo il nucleare degli Ayatollah. Ma il negoziato, giocato tra luci e ombre a Vienna attraverso l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, non decolla. Troppe poche le garanzie offerte dall’Iran, mentre continua il pressing israeliano per evitare un nuovo patto senza sufficienti assicurazioni. Per diversi organi di stampa, il dialogo esiste, e lo confermano del resto anche le dichiarazioni giunte da alcuni diplomatici coinvolti in quello che è uno degli argomenti più spinosi della politica mondiale. Secondo l’agenzia Tasnim, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanani, ha confermato che il dialogo non si è fermato. “La via diplomatica è attiva e non siamo né ottimisti né pessimisti, Teheran continua a ritenere la diplomazia il modo migliore per raggiungere un accordo”, ha commentato Kanani.

Negli scorsi mesi i viaggi di alti funzionari Usa in Oman e israeliani a Washington avevano suggerito la riattivazione dei canali di comunicazione tra le parti. Il consigliere per la sicurezza nazionale di Israele, Tzahi Hanegbi, ha ricordato però che la priorità del Paese è quella della sfida posta dalla Repubblica islamica, che ne plasma inevitabilmente la politica estera. Le autorità iraniane, a conferma di una nuova fase di militarizzazione che vive il sistema degli Ayatollah, hanno poi presentato in queste ore un nuovo missile con gittata di mille chilometri, l’Abu Mahdi: nome scelto per ricordare Abu Mahdi al Muhandis, ucciso con il generale Qasem Soleimani nell’attacco ordinato da Donald Trump. Washington non è rimasta a guardare e negli ultimi giorni il Pentagono ha annunciato un nuovo aumento delle forze schierate nella regione del Golfo Persico, specialmente dopo l’ultimo tentativo di sequestro di navi commerciali da parte delle unità iraniane.

Il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha ordinato l’invio di navi d’assalto anfibio, marines, caccia F-35 e F-16 e un cacciatorpediniere. Segnali che fanno comprendere come la tensione nel Golfo possa esplodere da un momento all’altro, ma anche un messaggio di presenza Usa nella regione dopo un periodo di apparente disinteresse dovuto al coinvolgimento sul fronte russo-ucraino e nell’Indo-Pacifico. In realtà, anche il Medio Oriente rappresenta un teatro fondamentale della sfida a Russia e Cina. E l’Iran è pienamente parte di questa lotta tra grandi potenze. Impegnata a fornire armi, in particolare droni, alle forze di Mosca che combattono in Ucraina, e blindati accordi su più livelli con il Cremlino, Teheran è da tempo inserita anche nell’agenda strategica della Cina, interessata a garantirsi un corridoio verso ovest. La sfida geopolitica passa quindi anche per la Repubblica islamica, dove si incrociano spinte di protesta interna, pressioni ai confini e tanti nodi politici da sciogliere.

Lorenzo Vita

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