Lo sguardo di Nessuno tocchi Caino su quanto accade nelle carceri, come nei sistemi giudiziari del mondo ci porta oggi a raccontare una storia fuori dal tempo, ma di questo mondo dove ancora esistono regimi mortiferi come quello iraniano. Regimi per i quali la pena di morte, la pena fino alla morte e la morte per pena sono elementi fondanti e costitutivi del loro stesso potere. La storia è quella di Mohammad Reza Omidi, un uomo di 47 anni, che ha ricevuto 80 frustate per aver bevuto il vino della comunione. La flagellazione è avvenuta il 14 ottobre presso la Procura di Rasht. Dove Youhan, questo il suo nuovo appellativo che richiama il nome dell’apostolo Giovanni, si è recato a sue spese affrontando un viaggio di 1.000 chilometri per ubbidire all’ordine di esecuzione del supplizio emesso il 10 ottobre dalle autorità della città.
Si trovava infatti a Borazjan per scontare la pena all’esilio di 21 mesi dopo aver lasciato l’estate scorsa il terrificante carcere di Evin a Teheran, detenuto per due anni colpevole di “atti contrari alla sicurezza nazionale” avendo “propagandato la chiesa domestica e promosso il sionismo cristiano”. Sono capi d’accusa che ci riportano ai primordi del cristianesimo, quando i primi cristiani si radunavano nelle loro case per celebrare l’Eucarestia secondo l’esortazione di San Paolo nella Lettera ai Romani o a quelle dottrine cristiane che vedono nei riferimenti biblici al ritorno degli ebrei in Terra Santa la volontà divina alla creazione del regno di Israele. Sono capi d’accusa e punizioni che ci portano alla mente persecuzioni atroci e ossessioni terribili: chi coltiva una sua libertà interiore, di credo come in questo caso o di pensiero come in quello dei dissidenti politici o degli attivisti dei diritti umani, è un nemico pubblico e deve essere punito in modo duro ed esemplare. E poi, Israele deve essere cancellato dalla carta geografica.
Mohammad Reza Omidi era stato condannato alle 80 frustate nel settembre del 2016 da una corte di Rasht insieme a Yasser Mossayebzadeh e Saheb Fadaie, altri due seguaci della stessa chiesa domestica, per aver bevuto del vino durante la funzione religiosa. Erano stati tutti arrestati alcuni mesi prima insieme ad altri praticanti, tra cui il Pastore Youcef Nadarkhani, già scampato alla pena di morte anni or sono, nel corso di un’irruzione che agenti del Ministero dell’Intelligence avevano compiuto a casa di Yasser, durante la celebrazione di un rito di comunione, nel maggio del 2016.
Nel giugno del 2017, questi quattro uomini erano stati condannati da una Corte della Rivoluzione Islamica di Teheran per atti contro la sicurezza nazionale a 10 anni di carcere con una pena aggiuntiva per Mohammad e Yasser di 2 anni di esilio. Lo scorso mese di giugno Mohammad aveva visto la sua pena detentiva ridursi a 2 anni e aveva terminato di scontarla ad agosto. Restavano però ancora l’esilio e la fustigazione. È la seconda volta che Mohammad subisce le 80 frustate. Era già successo nel 2013 per lo stesso motivo, aver bevuto vino durante la comunione. In Iran è permesso ai non-musulmani di bere bevande alcoliche, cosa vietata invece ai musulmani. Siccome un musulmano che si converte al cristianesimo non è considerato un non-musulmano allora per costoro il divieto di bere il vino permane e con esso la legittimità della flagellazione.
In questa come in altre storie terribili di punizioni coraniche, la frusta diviene lo strumento con cui il regime dirige la musica della teocrazia. Comunque il problema non è il Corano, perché non tutti i Paesi islamici che a esso si ispirano praticano la Sharia che per il regime dei mullah è invece norma costituzionale, codice penale e civile. Il problema è la traduzione letterale di un testo millenario in norme penali, punizioni e prescrizioni valide per i nostri giorni, operata da regimi fondamentalisti, dittatoriali o autoritari al fine di impedire qualsiasi cambiamento democratico.