Condannato per “inimicizia contro Dio” a 23 giorni dall'arresto
Iran, giustiziato pubblicamente un altro manifestante di 23 anni: “Negato giusto processo”

Si chiamava Majid Reza Rahnavard, aveva 23 anni ed è stato giustiziato pubblicamente nella città di Mashhad, in Iran, con l’accusa di aver ucciso due Basiji, componenti della forza paramilitare fondata dall’ayatollah Khomeini. È il secondo manifestante in quattro giorni ad essere condannato e ucciso per il reato di “inimicizia contro Dio”, in persiano “moharebeh”, dopo Mohsen Shekari, impiccato giovedì scorso, anche lui condannato per Muharebeh, per aver partecipato a un blocco stradale e ferito un Basiji durante le proteste.
Rahnavard è stato impiccato 23 giorni dopo il suo arresto. Come per Shekari gli sarebbe stato negato un giusto processo e secondo gli attivisti è stato duramente picchiato durante la detenzione, tanto da subire durante l’arresto la frattura di un braccio. Successivamente è stato esposto alla TV di Stato mentre confessava gli omicidi, secondo gli osservatori e gli attivisti sotto la pressione delle autorità. Secondo l’agenzia di stampa della magistratura Mizan, Rahnavard è stato condannato per ‘moharebeh’ per aver accoltellato a morte due Basiji, Hossein Zeinalzadeh e Danial Rezazadeh, e averne feriti altri quattro a Mashhad, nella provincia di Khorasan Razavi, il 17 novembre, durante la rivolta in atto dal 16 settembre, dopo la morte in custodia di Mahsa Amini, accusata di avere indossato l’hijab in modo ‘improprio’. Migliaia di persone, per lo piu’ giovani studenti e attvisti ma anche minorenni, sono stati arrestati nell’ambito delle manifestazioni diventate violente in alcune parti del Paese.
L’esecuzione sarebbe avvenuta pubblicamente. Secondo quanto riportato dall’Agi, l’agenzia legata alla magistratura iraniana, Mizan, ha pubblicato sul suo sito le foto dell’impiccagione. Nelle terribili immagini ci sarebbe il corpo del giovane lasciato appeso alla gru installata sulla strada di Mashhad alla presenza di molti agenti con il volto coperto. Ad agghiacciare ancora di più la presenza anche di un “pubblico”. Non è ben chiaro di chi si tratti esattamente. Secondo alcuni attivisti, si è trattato di una “messa in scena” con cui il regime vuole dimostrare il sostegno della popolazione alle esecuzioni capitali di quelli che ritiene “terroristi fomentati dai nemici dell’Iran”. In realtà fino a poche ore prima nemmeno la famiglia del 23enne sarebbe stata a conoscenza della condanna a morte. Gli stessi familiari non erano stati avvertiti. “Li hanno chiamati alle 7 di questa mattina (le 4:30 in Italia) e hanno detto loro di andare al cimitero Beheste Reza: abbiamo giustiziato vostro figlio e lo abbiamo sepolto”, sarebbe stato il messaggio delle autorità ai parenti secondo quanto riporta l’agenzia Reuters. Dopo l’esecuzione della sentenza, Gholam Ali Sadeghi, capo della magistratura locale, avrebbe ringraziato la polizia e gli agenti di sicurezza per “aver stabilito l’ordine e la sicurezza e essersi occupati di rivoltosi e delinquenti”.
Secondo quanto denunciato dall’ avvocato per i diritti umani, Saeid Dehghan su Twitter, quello di Rahnavard non è un’esecuzione ma un “omicidio di Stato”. “Il procuratore, il giudice e il legale del caso Rahnavard – ha denunciato nel suo tweet Dehghan – erano il governo”. Oltre a essere stata la prima sentenza di un manifestante a essere eseguita pubblicamente, quello che ha allarmato e indignato del caso di Rahnavard è stato anche il fatto che il suo è stato un processo lampo. È stato giustiziato solo 23 giorni dopo l’arresto, fa notare la Bbc nella sua edizione in farsi.
“Impiccare un manifestante arrestato appena 23 giorni fa e condannato dopo un processo sommario è orrore puro. Il mondo deve mobilitarsi. La lista dei condannati a morte in attesa d’impiccagione è molto lunga ed è evidente che le autorità iraniane intendano procedere velocemente. La comunità internazionale deve impedirlo”. Lo ha detto all’AGI il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury. “Se pensano che le impiccagioni pubbliche fermeranno la protesta, le autorità iraniane sbagliano completamente. Produrranno ancora più protesta e ancora più rabbia”, ha aggiunto Noury.
Dopo 13 settimane di proteste, sono 488 i manifestanti uccisi in Iran, tra loro, 68 sono bambini. E’ l’ultimo aggiornamento del bilancio delle vittime della repressione delle manifestazioni nella Repubblica islamica, pubblicato dal gruppo per i diritti Hrana, secondo cui gli arresti effettuati sono 18.259. Undici manifestanti sono stati finora condannati a morte, di cui due gia’ giustiziati dopo processi sommari. Tra le vittime dei disordini che stanno accompagnando le manifestazioni in diverse zone del Paese vi sono anche 62 membri delle forze di sicurezza iraniane.
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