In Iran il boicottaggio ha vinto per la terza volta consecutiva in quello che è per gli oppositori il rito elettorale più fraudolento del mondo. Le elezioni presidenziali farsa, orchestrate dalla Repubblica islamica il 28 giugno, hanno registrato l’affluenza alle urne più bassa della storia di questo paese con appena il 39% di partecipazione, secondo i dati diffusi dallo stesso regime islamico. Se teniamo conto della percentuale di coloro che hanno annullato la scheda, solo circa il 20% dei 61 milioni di aventi diritto ha espresso un voto valido. Alle presidenziali del 2021 votò appena il 48% e alle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea consultiva islamica del 1° marzo 2024 solo circa il 40% si recò alle urne. Ci troviamo di fronte al ripudio totale del sistema teocratico e dell’intera Repubblica islamica espresso ancora una volta dalla popolazione iraniana che ha disertato in massa le urne.

Venerdì il popolo iraniano ha dunque ribadito il suo “No” alla orrifica Repubblica islamica astenendosi in massa. È questo il dato più significativo che è emerso dalle presidenziali che si sono appena svolte. La battaglia finale per la presidenza della Repubblica in Iran si concluderà il 5 luglio tra l’ultraconservatore Saeed Jalili e il “moderato” Masoud Pezeshkian e sarà come sempre una lotta senza quartiere tutta interna al regime. Infatti i candidati sono stati accuratamente esaminati e scelti dal Consiglio dei guardiani, composto da 12 membri tutti nominati dalla guida suprema Ali Khamenei. Pezeshkian (alleato dei cosiddetti “riformisti”) ha ottenuto il 42,4% di voti, mentre Jalili (leader del partito più fondamentalista dell’Iran, il Fronte della stabilità della Rivoluzione islamica, molto vicino alla guida suprema) ha raccolto il 38,6% dei consensi.

Ma non bisogna farsi ingannare dai termini “moderato” e “riformista”. Chi conosce bene questo paese sa che di moderato e ancor più di riformista non vi è proprio nulla. Dunque non c’è da farsi alcuna illusione: i due candidati andati al ballottaggio sono entrambi ultraconservatori e tradizionalisti sciiti. Su diritti civili, su eguaglianza di genere e politica estera hanno più o meno la stessa visione e inoltre ricordiamo che in Iran il presidente è una pedina della guida suprema ed è lui che detta l’agenda della politica interna ed estera del paese. Sia Jalili che Pezeshkian affermano che le donne che non indossano l’hijab sono responsabili e colpevoli di eventuali violenze sessuali subite e che dunque vanno controllate ed educate alle leggi coraniche.

La popolazione iraniana sa bene che il Corpo dei guardiani della rivoluzione Islamica (IRGC) influenza e manipola l’informazione e la propaganda politica e opera in maniera fraudolenta secondo criteri di ingegneria elettorale, condizionando il voto attraverso una rete clandestina nota come Baqiatallah. Il quartier generale di Baqiatallah lavora a stretto contatto con l’Intelligence iraniana per garantire che il regime teocratico mantenga il controllo sulla presidenza della repubblica e orienta l’elettorato con un’assillante propaganda sui social e con discorsi televisivi e messaggi inviati sugli smartphone degli elettori. Lo stesso candidato, cosiddetto moderato, finisce con l’essere una pedina del grande gioco diretto dalla guida suprema e dai pasdaran.

Un altro dato significativo di queste elezioni è rappresentato dalla esigua percentuale di voti raccolta da un ex potente generale dei guardiani della rivoluzione, Mohammad Bagher Ghalibaf, che ha ottenuto il 13,8% di voti. Ghalibaf è l’attuale presidente dell’Assemblea consultiva islamica, quella che il regime chiama con termine altisonante, Parlamento della Repubblica. È uno degli uomini più corrotti del paese e il fatto che, da favorito iniziale, abbia raccolto una percentuale così bassa di voti ci fa capire che la guida suprema ha ancora il pieno controllo del paese. È noto che esiste una feroce faida tra clan oligarchici del clero sciita controllato da Khamenei e le bande dei guardiani della rivoluzione in competizione per spartirsi il potere e assumere il controllo di sempre maggiori risorse. I pasdaran vorrebbero un uomo del loro apparato alla presidenza del paese e premono affinché l’Iran, dopo la morte del vecchio e ammalato leader religioso, si muova verso un’ideologia decisamente meno clericale e ancor meno islamista e che si basi su un regime di stampo decisamente militare per la costituzione di uno Stato fortemente autoritario e nucleare.

Jalili ha 58 anni ed è rappresentante di Ali Khamenei nel Consiglio supremo di Sicurezza nazionale e ha già ricevuto pieno sostegno del presidente dell’Assemblea consultiva Ghalibaf, del fondamentalista sindaco di Teheran, Alireza Zakani e da Amir-Hossein Ghazizadeh Hashemi, vicepresidente dell’Iran nel precedente governo del defunto Raisi, i quali al secondo turno faranno convergere i loro voti su di lui. Ad ogni modo, alla guida suprema Khamenei – qualora il candidato a lui più vicino, Jalili, non dovesse farcela – potrebbe far comodo anche un presidente sostenuto dai riformisti come Pezeshkian perché ritenuto molto debole ed inesperto.

Il leader religioso ha scelto di averli come rivali in queste elezioni perché gli fa comodo creare un clima di competizione nella speranza di portare al voto quanti più elettori possibile per far credere al mondo che le elezioni in Iran sono competitive, che il suo governo gode di legittimazione popolare e che sono gli iraniani a scegliere il loro presidente. Ma per il ballottaggio del 5 luglio i coraggiosi oppositori del regime già sono al lavoro per il boicottaggio: 55 esponenti politici e attivisti della società civile hanno lanciato un nuovo appello alla diserzione delle urne, tra questi numerosi intellettuali e prigionieri politici come la premio Nobel per la Pace 2023, Narges Mohammadi.