Il conflitto
Iran, un fucile accanto a Khamenei. La scommessa e il cambio di passo: “Pazienza finita. Colpiremo ancora”
Un “unico nemico”, e cioè Israele, che vuole “seminare i semi della divisione e della sedizione, di creare una spaccatura tra tutti i musulmani”. Il 7 ottobre del 2023 “un’azione legittima” da parte di Hamas. La resistenza di Hezbollah come “un servizio vitale per tutta la regione”. L’attacco con i missili descritto come una “punizione minima”. La fine della “pazienza strategica”. E la minaccia rivolta allo Stato ebraico: “Se necessario colpiremo ancora la Palestina occupata”.
Il sermone del venerdì
Il discorso della Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, non ha smentito le previsioni degli esperti né della folla radunata nella grande moschea di Teheran. E come se non fossero sufficienti le parole infuocate rivolte alla piazza, a sottolineare ancora di più la volontà della Guida suprema è stata l’immagine di lui con un fucile al suo fianco. Una fotografia che non lascia spazio a interpretazioni, e che conferma come a Teheran qualcosa sembra sia cambiato per sempre. Il primo indizio, del resto, era arrivato già dalla stessa scelta di Khamenei di condurre lui il sermone del venerdì. Una mossa rara, visto che l’ultima volta era stato nel 2020 dopo l’uccisione del generale Qasem Soleimani, alto comandante dei Guardiani della Rivoluzione ucciso da un raid americano a Baghdad. Ma una mossa considerata anche rischiosa, considerato che dopo gli omicidi mirati condotti dal Mossad e dalle Israel defense forces, la sicurezza intorno alla Guida suprema è nettamente aumentata.
Il peso del discorso
Khamenei però non ha fatto marcia indietro. Sa che la situazione dell’Iran è complessa, e sa che il momento richiedeva la presenza scenica del vecchio capo. Khamenei l’ha fatto. E come sottolineano anche gli esperti, tre sono gli elementi che fanno comprendere il peso di questo discorso. Uno è chiaramente il tono delle dichiarazioni (e la presenza del fucile immortalato nelle immagini della propaganda). Ma gli altri due sono altrettanto significativi. Il primo, il richiamo a tutto il mondo musulmano per sfidare Israele. Il secondo, strettamente collegato a questo, e rappresentato dalla decisione di parlare sia in arabo che in farsi. Una maniera per aprirsi anche ai vicini e per parlare più direttamente a quelle opinioni pubbliche che Khamenei vuole che si sollevino e spingano i rispettivi leader a spezzare i legami con lo Stato ebraico e con gli Stati Uniti.
Il cambio di passo
La Guida Suprema ha quindi deciso di scommettere su un cambio di passo, consapevole che la crisi della sua leadership e del sistema di milizie e di partiti costruiti in questi anni ha subito colpi durissimi. Uno, il più importante, è certamente in Libano, dove la morte di Hassan Nasrallah non ha placato l’ira di Israele. E dove gli Stati Uniti, come ha rivelato Axios, sperano di sfruttare la debolezza del partito di Dio per rafforzare il governo di Beirut ed eleggere il nuovo presidente. In queste settimane, le Israel defense forces hanno continuato a martellare il Paese dei cedri per distruggere i depositi di armi, le postazioni di lancio e tutte le principali roccaforti di Hezbollah. Hanno colpito nuovamente Beirut, sia per distruggere l’intelligence del Partito di Dio sia per dare la caccia al potenziale successore di Nasrallam, Hashem Safieddine. E secondo quanto trapelato dai media, gli aerei dell’Idf avrebbero sganciato nel raid 73 tonnellate di bombe. Una cifra enorme, che fa comprendere quanto sia martellante la pioggia di fuoco scatenata da Israele contro la milizia filoiraniana.
Nella capitale libanese, venerdì è sbarcato anche il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, che in conferenza stampa ha di nuovo aperto alla possibilità di fermare i combattimenti. “Sosteniamo gli sforzi per un cessate il fuoco a condizione che sia accettabile per il popolo libanese, accettabile per la resistenza e, in terzo luogo, che sia sincronizzato con un cessate il fuoco a Gaza”, ha affermato Araghchi. Ma il ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, nelle sue ultime dichiarazioni sembra avere chiuso a ogni trattativa. “Hezbollah sta ricevendo colpi molto duri, uno dopo l’altro. Abbiamo eliminato Nasrallah e abbiamo in serbo altre sorprese, alcune delle quali sono già state fatte e altre lo saranno”, ha detto il ministro visitando la base della 36esima Divisione nel nord di Israele.
Il campanello d’allarme
E queste dichiarazioni sono arrivate mentre a pochi chilometri di distanza continuava l’operazione terrestre dell’Idf all’interno del sud del Libano. Secondo Tsahal, in questi giorni di invasione sono stati uccisi più di duecento miliziani e sono stati colpiti duemila obiettivi. Ma i comandi israeliani sanno che il fronte nord è quello più complicato. Soprattutto perché non riguarda solo il Libano, dove ormai anche la situazione umanitaria si fa sempre più difficile, ma anche la Siria e l’Iraq. Ieri le milizie sciite irachene hanno lanciato un attacco missilistico che ha raggiunto le Alture del Golan e ucciso due soldati israeliani in una base. E questo può essere un campanello d’allarme molto serio dopo il sermone di Khamenei.
© Riproduzione riservata