Irruzione all’alba nella stanza d’albergo di Emilio Fede: “Trattato come un boss”

«Nemmeno il tempo di dare l’estremo saluto a mia moglie che si è ripresentata la stessa follia dell’anno scorso: sono stato trattato come un boss». Emilio Fede è oggi un uomo di novant’anni, si sposta in sedia a rotelle e due giorni fa ha dovuto dire addio alla moglie, la senatrice Diana de Feo. Dopo essere rientrato – distrutto dal dolore – nell’albergo Santa Lucia di via Partenope, alle quattro del mattino l’ex direttore di Tg1 e Tg4 è stato svegliato da due agenti della Questura di Napoli, piombati nella sua camera per verificare la sua autorizzazione a spostarsi da Milano a Napoli. Il giornalista siciliano, infatti, si trova ai domiciliari per scontare quattro anni e sette mesi di reclusione inflittigli dalla magistratura per la vicenda Ruby. Il controllo, alla fine, si è rivelato inutile e frutto di un errore di comunicazione tra gli uffici giudiziari e la polizia.

Potrebbe essere la trama di un film di pessimo gusto, invece è quello che è successo al giornalista dopo essere arrivato in città per prendere parte ai funerali della moglie Diana. Sia chiaro: oggi Fede ha 90 anni, sta scontando il suo debito con la giustizia italiana e, pochi giorni fa, ha affrontato un viaggio di ore e ore in piena notte per dare l’ultimo saluto alla donna che gli è stato accanto per 56 anni. Fede non è più autosufficiente, è assistito da una badante ed è costretto a muoversi su una sedia a rotelle perché, in seguito a una caduta, non riesce più a camminare. Nonostante ciò si è visto piombare la polizia in camera, quasi come se fosse stato un killer ricercato in tutto il mondo e non un anziano inerme. E non è nemmeno la prima volta che l’ex direttore di Tg1 e Tg4 diventa protagonista di eventi che hanno dell’incredibile: lo scorso anno, mentre festeggiava il suo 89esimo compleanno, le forze dell’ordine lo raggiunsero al ristorante e lo arrestarono per evasione dai domiciliari. Ieri la storia si è ripetuta, sebbene con sfumature diverse.

«Non ho parole per raccontare quanto mi è accaduto – racconta incredulo Emilio Fede al Riformista – Sono ancora molto provato e arrabbiato. È stato disumano. talmente ai limiti dell’orrore psicologico e politico che veramente non so da dove cominciare a commentare». Poi, complice la rabbia e la volontà di far sapere a tutti il trattamento vergognoso che gli è stato riservato, Fede racconta l’accaduto. «Mia moglie era morta da poco e avevo partecipato ai funerali nel pomeriggio – spiega Fede – Ero rientrato in albergo stanco, disperato e consapevole di essere rimasto solo. In piena notte mi hanno chiamato dalla portineria, ma dormivo e non ho sentito il telefono. A quel punto i due agenti hanno iniziato a bussare insistentemente alla porta della mia stanza. Io mi sposto in carrozzina, quindi ho impiegato un po’ di tempo per aprire e mi sono trovato due energumeni che mi dicevano di dover controllare la mia autorizzazione per spostarmi».

Fede aveva tutte le carte in regola per viaggiare da Milano a Napoli. Seppure non le avesse avute, era necessario mettere a segno un vero e proprio blitz, all’alba, nei confronti di un anziano che non è nemmeno più autosufficiente?  «Ho cercato di spiegare che ero stato autorizzato regolarmente per gravi motivi di famiglia – racconta Fede – Gli agenti hanno cominciato a inviare messaggi e a chiamare più volte gli uffici di polizia giudiziaria perché i conti non tornavano». E qui si tocca l’apice della follia. «Dopo due ore – aggiunge il giornalista – all’alba mi hanno detto che c’era stato un errore di comunicazione e che la mia autorizzazione, in realtà, l’avevano già ricevuta».

E così solo dopo un meticoloso controllo dei documenti di Fede e poi anche della collaboratrice che lo assiste, i due agenti hanno lasciato la camera e dato il permesso al giornalista di riposare, finalmente. «Io lo chiedo a voi, vi rendete conto dell’accaduto? – dice Fede – Mia moglie nella bara, io in camera disperato e la polizia che controllava. Ma siamo pazzi o cosa? Ancora una volta sono stato trattato come un boss. Mi chiedo e vi chiedo: ma in che Paese viviamo?»