La riflessione
Israele, a cosa serve parlare di genocidio? Quella parola su cui la Corte Internazionale di Giustizia non si pronuncia
La definizione serve a giustificare la collocazione di Israele a un rango di criminalità pregiudiziale e complessiva, collocazione che a sua volta giustifica il programma di estirpazione “dal fiume al mare” dello Stato degli ebrei
Le sofferenze della gente di Gaza non sarebbero meno gravi se fossero causate soltanto da un’operazione militare anziché dal “genocidio” di cui si parla avventatamente. La denuncia degli eccessi della reazione israeliana non sarebbe meno forte se, anziché addebitare intenzioni di sterminio della popolazione palestinese, insistesse sull’ammontare delle vittime civili. L’intimazione a Israele di ridimensionare la portata distruttiva del proprio intervento non sarebbe meno efficace se, anziché risolversi nell’infondata requisitoria contro deliberate pratiche di indiscriminato annientamento, facesse leva sull’esigenza di salvaguardare maggiormente i civili.
Discutere di genocidio
Discutere di “genocidio”, dunque, anzi fare le mostre che in modo acclarato si tratti inoppugnabilmente di questo, di “genocidio”, non serve affatto a informare il mondo della sofferenza di quella gente, né a rinvigorire la denuncia di sproporzione ed eccessività dell’iniziativa israeliana, né a sorreggere la richiesta rivolta a un’attenuazione o perfino alla cessazione dell’intervento armato nella Striscia. Al contrario, serve a giustificare la collocazione di Israele a un rango di criminalità pregiudiziale e complessiva, collocazione che a sua volta giustifica il programma di estirpazione “dal fiume al mare” dello Stato degli ebrei: un programma che non sta solo negli statuti delle organizzazioni terroristiche e nelle ambizioni degli Stati canaglia, ma risuona in vernacolo pacifista nelle manifestazioni che celebrano le gesta degli eroi del 7 ottobre.
Qui sopra, a proposito della sloganistica che denuncia il “genocidio” di cui si renderebbe responsabile Israele, ho detto “pregiudiziale”. Non a caso. Dappertutto, infatti, a cominciare dai lombi screditati della cooperazione internazionale, vengono reclami e rapporti in cui quell’allegazione – di “genocidio” – passa come una verità accertata e inoppugnabile, sulla scorta della quale dovrebbero essere adottate misure di embargo nei confronti di Israele e sanzioni nei confronti degli Stati “complici” del genocidio. Ebbene, qualcuno può anche disinteressarsi del fatto che certe accuse vengano da personaggi che denunciavano le complicità dell’Europa e degli Stati Uniti “soggiogati dalla lobby ebraica”, e che gioiosamente si fanno fotografare tra gli striscioni che invitano a “boicottare Israele”.
La competenza
Ma nessuno dovrebbe disinteressarsi del fatto che pende un procedimento presso la Corte Internazionale di Giustizia, un procedimento in cui la Corte, nel decidere sulle misure provvisorie a carico di Israele, ha spiegato molto chiaramente che non era chiamata in nessun modo a valutare l’esistenza effettiva di violazioni della Convenzione contro il genocidio, e che la decisione provvisoria non implicava nessun accertamento sulla fondatezza o no dell’accusa sudafricana (punto 62 della decisione in data 26 Gennaio 2024). Se è troppo giuridichese, facciamola semplice: il “genocidio” di cui si parla sbrigliatamente, fino a farlo precipitare come se fosse una certezza nei dossier compilati dai consulenti in lotta contro la lobby giudaica, è in realtà l’ipotesi su cui la stessa Corte dell’Aia ha chiarito non solo di non essersi ancora pronunciata, ma perfino di dover ancora valutare se ha competenza a pronunciarsi.
Quel paragone scomodo
Eppure quante volte abbiamo dovuto sentire che la Corte avrebbe “statuito” sul fatto che Israele sta commettendo un genocidio: affermazione non solo falsa, perché la Corte non da detto questo né tanto meno vi ha “statuito” sopra, ma inoltre affermazione pericolosa appunto perché perverte il dibattito pubblico orientandolo in una direzione unicamente criminalizzatrice che, mentre non arreca nessun beneficio alla popolazione palestinese, giustifica l’idea velenosa secondo cui gli ebrei starebbero facendo ai palestinesi le cose che i nazisti hanno fatto agli ebrei. E non sarà propriamente un caso che simili spropositi siano diffusi, con cartiglio dell’Onu, da parte di quelli che chiamano “resistenza” il pogrom del 7 ottobre. Vale a dire il fatto ormai dimenticato e in ogni caso trascurabile che Israele avrebbe dovuto sopportare non già rinunciando a difendersi in questo modo, ma rinunciando a difendersi in qualsiasi modo.
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