Ora si accende lo scontro diplomatico
Israele, blitz e raid per preparare l’attacco. Hamas vola a Mosca

Sono passate quasi tre settimane da quel drammatico 7 ottobre. E Israele, colpito al cuore nella maniera più traumatica, lavora da 20 giorni per la resa dei conti. L’offensiva terrestre sulla Striscia di Gaza è stata da sempre il perno della strategia di Benjamin Netanyahu, ma è stata anche ritardata rispetto alle aspettative dei primi giorni di guerra. Questo però non ha fermato le operazioni delle Israel defense forces, che oltre a bombardare con maggiore intensità la Striscia di Gaza per colpire più obiettivi possibili e rendere più semplice l’avanzata delle truppe in attesa del via libera all’invasione, ha anche scelto di iniziare le prime missioni all’interno dell’exclave palestinese. Ieri mattina, le Idf hanno mostrato le immagini di un’incursione con alcune unità di fanteria e carri armati. Un portavoce delle forze armate dello Stato ebraico ha dichiarato che era stato effettuato “un raid mirato utilizzando carri armati nel nord della Striscia di Gaza come parte dei preparativi per le prossime fasi del combattimento” e che nell’operazione “i soldati hanno localizzato e attaccato numerosi terroristi, infrastrutture terroristiche e siti di lancio di missili anticarro” con l’obiettivo di “preparare il campo di battaglia”. Le Idf hanno lasciato la Striscia subito dopo lil blitz, confermando quindi come non trattasse dell’inizio della vera e propria invasione più volte promessa. Ma il segnale è apparso eloquente. E non è un caso queste immagini siano giunte il giorno dopo che Netanyahu ha parlato alla nazione per confermare l’offensiva.
L’opinione pubblica e la comunità internazionale attendono di capire le prossime mosse di Israele. E in questo momento per il governo di emergenza guidato dal leader del Likud è essenziale mostrare la completa sinergia tra componente militare e politica dopo che i media israeliani hanno parlato di una crescente tensione tra le parti e fatto capire come l’esecutivo fosse indeciso sul da farsi e costretto tra pressioni interne ed esterne. Sul punto è intervenuto anche Benny Gantz, ex capo di stato maggiore delle Tsahal ma soprattutto leader di opposizione e storico rivale di Netanyahu che ha deciso di entrare nel governo di emergenza nazionale. “Prendiamo decisioni basate solo sui nostri interessi” ha detto Gantz, pur sottolineando l’importanza dell’aiuto fornito dagli Stati Uniti. E anche lui, come del resto già fatto dai vertici militari e dal ministro della Difesa Yoav Gallant, ha tenuto a ribadire che quelli che ha di fronte Israele saranno “tempi duri”, in cui la sconfitta di Hamas potrebbe essere solo una parte della strategia perseguita dallo Stato ebraico.
Nel frattempo, in attesa che l’invasione via terra completi la prima fase bellica descritta dal ministro della Difesa, l’obiettivo israeliano è quello di decapitare il più possibile le gerarchie militari di Hamas e di distruggere più postazioni nemiche possibile. Nell’ultima giornata di attacchi, tra gli “omicidi eccellenti” dei missili israeliani si è aggiunto anche il vicecapo dell’intelligence di Hamas, Shadi Barud, un uomo che nel suo precedente incarico sembra abbia avuto un ruolo fondamentale nell’ideare e poi pianificare l’attacco del 7 ottobre. Barud rappresenta l’ultimo “target” di una lista nera che è da tempo al centro dei piani delle forze armate e dell’intelligence di Israele, ed era ritenuto uno degli elementi di spicco dell’ala militare di Hamas insieme a Yahya Sinwar, considerato invece la mente della carneficina di ottobre. Mentre i capi di Hamas sono nel mirino di servizi e militari israeliani, l’organizzazione che controlla la Striscia di Gaza non rimane però ferma. I razzi non cessano di piovere sulle città israeliane più vicine al territorio palestinese, mentre proseguono le trattative per la liberazione degli ostaggi rapiti nell’assalto al sud di Israele (il cui numero si aggira sui 200 e per Hamas 50 sarebbero morti). Inoltre, non si ferma il lavoro diplomatico di Hamas, al punto che una sua delegazione è volata a sorpresa in Russia per parlare con i rappresentanti del Cremlino. Gli inviati della sigla palestinese hanno incontrato in particolare Mikhail Bogdanov, viceministro degli Esteri e inviato speciale di Vladimir Putin per il Medio Oriente e l’Africa. Come riportato dalle agenzie russe, il vertice è servito a discutere del rilascio dei civili sequestrati dai terroristi e l’evacuazione dei cittadini russi presenti nella Striscia di Gaza. Questo quantomeno a livello formale.
A livello sostanziale, invece, è chiaro che da parte di Mosca la mossa sia squisitamente politica e utile a ribadire quella linea diplomatica che serve a minare il lavoro di Washington saldando contemporaneamente l’alleanza con l’Iran e con la Cina per aumentare la propria influenza sulla regione. La partita geopolitica è enorme, e gli interessi si intrecciano in modo spesso inestricabile. L’influenza iraniana è nota, dal momento che gli ayatollah hanno palesato la loro vicinanza ad Hamas (con un sostegno anche tecnico e militare) e la leadership ancora molto netta su tutta la galassia di milizie sciite in Medio Oriente e in particolare ai confini di Israele. Tra queste spicca Hezbollah, che però inizia a manifestare delle divergenze con i vertici di Hamas.
All’Iran si unisce la sfida della Turchia, con Recep Tayyip Erdogan che ha deciso di riprendere in mano il dossier palestinese difendendo le mosse di Hamas e condannando Israele. Ieri il presidente turco ha voluto anche telefonare a Papa Francesco, il quale ha espresso il suo dolore per quanto accade in Terra Santa. E mentre le potenze si muovono, con gli Stati Uniti che continuano a blindare le proprie basi in Medio Oriente in attesa dell’offensiva, lo scontro giunge anche alle Nazioni Unite. Dopo il botta e risposta durissimo tra il segretario generale Antonio Guterres e i rappresentanti israeliani, ieri il presidente dell’Assemblea Generale, Dennis Francis ha accusato senza mezzi termini Hamas, ma ha anche condannato “l’attacco di civili indifesi a Gaza da parte di Israele”.
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