Israele chiude l’ambasciata a Dublino, con l’Irlanda frattura diplomatica dal passato profondo

Israele ha annunciato la chiusura dell’ambasciata a Dublino, in risposta al sostegno dell’Irlanda alla causa per genocidio intentata dal Sudafrica contro Tel Aviv presso la Corte Internazionale di Giustizia. Le relazioni diplomatiche tra i due Paesi, già tese da tempo, toccano ora un punto di rottura. Ma questa crisi ha radici storiche profonde e complesse.

L’Irlanda ha sempre manifestato una naturale empatia verso la causa palestinese, ma non dagli albori. In principio Irlanda e la Palestina erano entrambe sotto il dominio britannico. La dichiarazione del 1917, che gettò le basi per la nascita di Israele, fu redatta da Arthur Balfour, primo ministro del Regno Unito, fermo oppositore dell’autonomia politica irlandese, tanto da guadagnarsi il soprannome di “Bloody Balfour”. L’intenzione di Balfour era quella di formare una sacca di lealisti ebrei-britannici per proteggere gli interessi della Corona nel vicino Oriente. Ma l’ambigua e confusa politica estera britannica nell’area favorì la nascita di movimenti radicali sionisti, come la Lehi – la famigerata Banda Stern – organizzazione paramilitare terroristica, con l’obiettivo di esautorare definitivamente i britannici dall’area, anche e soprattutto con la violenza politica. Il loro leader, Yitzhak Shamir, futuro primo ministro di Israele, adottò il nome di battaglia “Michael” in onore di Michael Collins, eroe separatista e patriota irlandese.

Dopo l’indipendenza israeliana nel 1948 e la crisi di Suez del 1956, divenne chiaro che Israele stava perseguendo una politica estera sempre più distante dall’eredità anticoloniale condivisa con l’Irlanda. Durante gli anni del conflitto nordirlandese i movimenti nazionalisti irlandesi -come l’IRA – si avvicinarono alla causa palestinese, mentre Israele, anche a causa dei posizionamenti della guerra fredda, si consolidava come un alleato delle potenze occidentali. Era difficile per gli irlandesi non pensare alle violenze sui civili nei territori palestinesi occupati senza andare con la mente al Bloody Sunday, quel giorno di gennaio del 1972 quando paracaduti britannici aprirono il fuoco su una folla di manifestanti disarmati a Derry.

Le ferite in comune con il popolo palestinese delinearono la politica estera irlandese negli anni a seguire: Dublino riconobbe Tel Aviv “solo” nel 1963, aprì le relazioni diplomatiche nel 1975 e già nel 1980 dichiarava pubblicamente – primo stato dell’UE a farlo – il proprio sostegno alla soluzione del conflitto israelo-palestinese attraverso una soluzione basata sulla coesistenza di due Stati, riconoscendo il diritto dei palestinesi alla propria indipendenza. L’ambasciata israeliana che chiuderà i battenti a Dublino era stata aperta nel 1996, quando l’Irlanda era rimasta l’unica capitale europea a non ospitare una rappresentanza israeliana. La motivazione di quello stallo risiedeva nella condanna irlandese per gli attacchi alla missione UNIFIL da parte delle milizie sostenute da Israele, durante la guerra in Libano. L’ok all’apertura dell’ambasciata israeliana avvenne in contemporanea con l’invito all’OLP di Arafat ad aprire un proprio ufficio, nel solco di quella soluzione per un doppio stato di cui Dublino ha sempre fatto una bandiera.