L'editoriale
Israele combatte per tutto l’Occidente: propal, sovranisti e sinistre dovrebbero fare i conti con la realtà
Non so quanti siano coloro che, vedendo in televisione le scie luminose dei missili lanciati su Tel Aviv, abbiano percepito, come in un lampo, la verità. E cioè che Israele sta combattendo per la propria sopravvivenza e, al tempo stesso, per la sopravvivenza di tutti noi, del chiacchierato Occidente. Eppure quanti anni sono passati dall’11 settembre? Quante stragi islamiste nelle stazioni e nelle strade delle nostre città? Quanti gli sgozzamenti dell’Isis? E quanti ebrei sono stati massacrati il 7 ottobre? Quante volte, negli ultimi mesi, l’ineffabile António Guterres ha tuonato contro Tel Aviv, ignorando il martirio degli ostaggi?
La vera percezione
A lungo, l’Occidente è sembrato non capire il Grande Gioco (e le radici lontane) del conflitto medio-orientale. E, forse, soltanto ora si cominciano ad avvertire i primi scricchiolii di un pensiero unico antiebraico che ha lungamente devastato le opinioni pubbliche, le prime crepe di una verità costruita sulla vittimizzazione dei palestinesi, sui numeri propagandati da Hamas, sulla cinica contabilità delle donne e dei bambini deceduti. Soltanto oggi, con la pioggia dei missili, l’imperialismo iraniano sembra svelarsi come parte strategica del tentativo delle autocrazie di accerchiare l’Occidente.
Nessuna spontaneità
Ma, se resipiscenza c’è, nessuno pensi che sia spontanea. A imporre la verità, semmai, è stata la forte reazione militare di un paese che sembrava isolato dal mondo intero, la determinazione di un leader su cui si era abbattuto lo sdegno di miliardi di esseri umani. Sono state le piazze siriane o irakene che hanno festeggiato (con tanto di danze e dolcetti) l’eliminazione dei capi di Hezbollah. Sono stati i paesi arabi sunniti che fanno il tifo, senza poterlo dire, per il “criminale di guerra” Netanyahu. É stata la Giordania, che ha dato una mano per abbattere i missili di Khamenei. Popolazioni che non vedono l’ora di liberarsi dalla minaccia dell’Iran e che hanno sofferto la ferocia delle sue organizzazioni terroristiche.
I conti con la realtà
Da Parigi, Berlino, Roma, invece, le reazioni alla guerra di Israele sono caute. O prevale il silenzio. Come se quella guerra non ci riguardasse tutti e Israele non stesse combattendo anche per noi. No, nessuno pensi che la ragione sia tornata a illuminare l’Occidente. E che l’Occidente si attrezzi alle sfide che lo attendono. Non è così. Restano sulle loro posizioni – o tacciono farisaicamente – gli inflessibili propal dei campus americani, i sovranisti europei eternamente voltati dall’altra parte, le sinistre attente a non disgustare il proletariato urbano degli immigrati. Per non dire dei maîtres à penser dubitosi alla Cacciari, dei commentatori sottili alla Quirico. Eppure mai come ora lor signori dovrebbero fare i conti con la realtà. Dovrebbero prendere atto che la geopolitica non ha molto a che fare con la morale e tanto meno con la pace. Dovrebbero riconoscere di aver verniciato con un anticolonialismo d’antan la propria sostanziale incomprensione dello scontro in atto. Di aver sottovalutato la forza antica dell’antisemitismo. Di aver cavalcato opportunisticamente il mainstream della colpevolizzazione dell’Occidente.
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