C’è un solo motivo per cui, dal sette ottobre dell’anno scorso in qua, non ci sono stati dieci, cento, mille altri sette ottobre: e il motivo è che lo Stato Ebraico ha lo spirito, la forza, la tecnologia, le armi e un popolo in armi che ne garantiscono le capacità di difesa. Non l’incolumità, questo no: dopo essere già stato sventrato il sette ottobre, infatti, quel Paese e il suo popolo, accusati di genocidio, hanno visto cadere centinaia di soldati, hanno visto decine di migliaia israeliani sfollati e molti di più, centinaia di migliaia, abituati a nascondersi pressoché ogni giorno nei rifugi. L’opinione pubblica sequestrata dalla propaganda pregiudizialmente anti-israeliana, o antisemita senz’altro, sa di tutto questo? E sa da che cosa tutto questo è determinato? C’è serio motivo di credere che non lo sappia.

Non sa, quell’opinione pubblica, che ci sono quattro, cinque, sei, sette fronti di guerra che circondano Israele. Non c’è solo quello di Gaza, presentato come la zona di ricreazione sionista in cui tuttavia, inopinatamente, i bambini in fasce, le puerpere, gli ottantaquattrenni in sedia a rotelle, i cardiopatici e i diabetici fronteggiano i soldati israeliani uccidendone cinquecento. Se Israele impiega settimane per prendere un ospedale o una scuola, infatti, non è certo perché quelli sono vespai di terroristi, ma perché si scambia fucilate con i ragazzini che fanno lezione e con i pazienti in fila per la dialisi. Ma poi? Poi c’è il fronte della guerra al Nord, con le migliaia di razzi e droni che hanno incenerito la Galilea, c’è il fronte con la Siria, quello fremente nella West Bank, quello tenuto attivo dalle milizie iraniane che lavorano dall’Iraq, quello dei pirati yemeniti e infine quello più vasto e più ambizioso, che abbraccia tutto e muove tutto, il fronte del regime fondamentalista e genocidiario iraniano.

Non c’è il mondo della pace a difendere Israele su quei tanti fronti. E, se fosse per il mondo della pace, da quei tanti fronti verrebbe il repulisti degli ebrei dal fiume al mare: la rifinitura, concentrata in quell’orlo di Medio Oriente, del lavoro fatto da Adolf Hitler nell’Europa che ottant’anni dopo assiste all’incendio delle sinagoghe, alle minacce di morte nei confronti di una novantenne sopravvissuta ad Auschwitz e al vilipendio delle immagini degli uomini, delle donne e dei bambini rapiti dalle belve del 7 ottobre. E allora condanniamo senz’altro ogni proiettile che abbia ucciso un qualsiasi civile. Pretendiamo senz’altro che gli israeliani si liberino di un primo ministro spregiudicato e faccendiere. Ma prima, o almeno insieme, ricordiamo che l’assedio che subisce Israele non è per nessuna resistenza, per nessun diritto, per nessuna libertà, ma solo e soltanto per distruggere quel Paese e per uccidere tutti gli ebrei.