Il “pericolo di escalation”. Un grido di allarme che non risuonava dai ranghi pacifisti mentre la Russia ammassava 150mila soldati sul confine con l’Ucraina, né quando il signore del Cremlino annunciava l’inizio dell’operazione speciale per denazificare il paese governato dai drogati e degli omosessuali di Kiev. Quella parola, “escalation”, era semmai strillata e reiterata dopo, quando l’attentato alla pace risiedeva nell’irresponsabilità guerrafondaia degli ucraini, i renitenti al dovere morale della resa incapaci di comprendere che i bambini possono vivere felici anche in dittatura.

Il lancio dei razzi

Identicamente, il pericolo di escalation era inavvertito, anzi proprio inesistente, durante il quotidiano lancio dei razzi che da mesi, dal Libano, Hezbollah mandava a rallegrare i cieli di Galilea. Non c’era pericolo di escalation per i 1.700 attacchi che prendevano di mira i civili israeliani, facendone sfollare decine di migliaia. E i giorni passano ora tranquilli mentre il Nord di Israele è in fiamme: non c’è pericolo di escalation in quelle notti settentrionali splendenti di roghi, né quel pericolo incombe quando il sole torna sulla scena incenerita delle devastazioni, una routine immeritevole dei trasalimenti imbandierati d’arcobaleno.

La minaccia

Piuttosto, il pericolo di escalation si fa sentire ed è energicamente denunciato quando Israele ha l’impudenza di far sapere che potrebbe perfino decidere di non consentire che quello stillicidio vada oltre. Il fatto trascurato è che contro Israele è portata guerra anche da lassù, dopo quella cominciata a Sud dai macellai del 7 ottobre. Ma, come sono stati rimossi i pogrom del Sabato Nero, così è rimossa la realtà di quest’altro fronte che a sua volta minaccia l’esistenza stessa di Israele. Non è neppure una notizia.

L’inesausta teoria di aggressioni mortifere

Ebbene, chi ora denuncia il pericolo di un allargamento del conflitto avrebbe almeno un simulacro di titolo a farlo se in questi mesi avesse dato segno di non considerare un dettaglio irrilevante quel profluvio di razzi. Chi ora impugna l’istanza di pace, sventolandola in faccia all’unica tirannia del Medio Oriente, avrebbe un pizzico di legittimazione a farlo se in questi 245 giorni non avesse dimostrato di considerare una cosa ininfluente e inevitabile, e magari anche meritata, quell’inesausta teoria di aggressioni mortifere. Ci sono due modi di intendere l’escalation e ci sono due modi di intendere ciò che ne determina il pericolo. Uno suppone l’esistenza di Israele, l’altro suppone che quell’esistenza possa essere messa al rogo. Il primo legittima ogni pretesa di cautela e la condanna di ogni avventatezza. Il secondo non ne legittima nessuna.