Sbaglierebbe chi pensasse che il segretario generale dell’Onu, António Guterres, sia ormai fuori controllo. È invece perfettamente in sé, e semplicemente esibisce ed esercita in modo sempre più tronfio l’impunità ormai assoluta di cui gode nel lasciarsi andare ai suoi spropositi. Ma il problema non è lui, un disinvolto procuratore di interessi torbidi, a cominciare dal proprio. Il problema è la platea che gli tiene bordone e continua a legittimarlo mentre abbraccia il dittatore Aljaksandr Lukašenka, o quando denuncia l’uccisione dell’ennesimo assassino dell’Unrwa deplorando l’ingiusta fine “di un altro collega”.

Il “collega” autista Unrwa

La notizia che il “collega” fosse un certo Mohammad Abu Itiwi, il quale avrebbe partecipato ai massacri e ai rapimenti del 7 ottobre, compreso quello di Hersh Goldberg-Polin, non era abbastanza urgente affinché Guterres si astenesse dal rilasciare quella impudente dichiarazione. Né era abbastanza grave da fargliela correggere, quando gli è stato rinfacciato lo scandalo di un’organizzazione internazionale che non solo tiene nei propri ranghi un capo terrorista, ma addirittura ne fa l’elogio funebre che si riserva a uno di famiglia. Chiunque ritenesse eccessiva la decisione israeliana di passare per “persona non gradita” il segretario generale dell’Onu dovrebbe tuttavia concordare sul fatto che questo signore conduce – non da oggi – una inesausta campagna di contestazione e delegittimazione dello Stato Ebraico, a cominciare dall’oltraggio antisemita secondo cui i gli eccidi del 7 ottobre “non venivano dal nulla”.

Ma praticamente nessuno lo ha tenuto responsabile di quell’oscenità, anzi essa è stata reiteratamente riproposta a destra e a manca nelle giudiziose occasioni contestualizzanti secondo cui, certo, quegli eccidi erano “inaccettabili”, ma non dimentichiamo i Territori Occupati, non dimentichiamo le violenze dei coloni, non dimentichiamo i ministri fondamentalisti, non dimentichiamo che i ragazzi del Nova Festival (è stato detto anche questo) “ballavano ai margini di un campo di concentramento”. Ma occorre poi considerare – e pare che nessuno lo consideri – che questa ormai innegabile attività di copertura che il segretario generale dell’Onu, sempre più sfacciatamente, dedica alle compromissioni delle proprie agenzie con le organizzazioni terroristiche ha un fine anche più bieco rispetto alla semplice autodifesa conventicolare.

Un po’ Onu, un po’ Hamas

I proclami di giorni addietro sulla “indispensabilità” e “insostituibilità” dell’Unrwa, l’agenzia Onu per il sussidio dei rifugiati palestinesi in Medio Oriente, venivano sulla scorta di notizie sempre più gravi circa le inefficienze (è un eufemismo) e a proposito della mancanza di controlli (è un’altra definizione soffice) di cui quel carrozzone si rende responsabile nell’assunzione di personale a mezzo servizio con Hamas, nella destinazione delle risorse a un sistema educativo che ha per pilastro l’indottrinamento al martirio dei bambini palestinesi, nell’acquiescenza davanti al comprovato uso, da parte dei terroristi, delle strutture delle Nazioni Unite a mo’ di bunker, depositi di armi e centri di comando.

Dunque, sì. Il fiume di miliardi che si ingolfa nei possedimenti mediorientali dell’Onu e poi si perde negli intrichi di Gaza e della West Bank è certamente “indispensabile” e “insostituibile”: ma molto poco per i fini dichiarati e per la popolazione che dovrebbe avvantaggiarsene, e molto più per le dirigenze corrotte che ne fanno il mezzo di finanziamento delle proprie architetture sotterranee. Per questo António Guterres chiama “collega” il proprio dipendente accusato di essere un macellaio. Perché chiamarlo collega gli consente di rimpiangerne l’insostituibile lavoro.