L’osservatore del gabinetto di guerra Gadi Eisenkot ha accusato il primo ministro Benjamin Netanyahu di aver fallito in Israele su questioni sia di sicurezza che di economia, esortando a tenere elezioni entro la fine dell’anno, in un duro atto d’accusa contro il governo di cui fa parte. Eisenkot ha dichiarato che il primo ministro sta “promuovendo false illusioni” sui risultati ottenuti a Gaza e ha “fallito miseramente” nel raggiungere gli obiettivi. Tra le feroci recriminazioni c’è il mancato stop al progetto nucleare iraniano, la ‘normalizzazione’ saudita, il costo della vita e la ricostruzione della sicurezza nel paese.

Dal palco dell’annuale convegno sulla sicurezza e sulla strategia di Meir Dagan, Eisenkot ha accusato il primo ministro Benjamin Netanyahu di “diffondere false illusioni secondo cui distruggeremo tre battaglioni [di Hamas ndr.] a Rafah e poi restituiremo gli ostaggi”. Il componente del gabinetto di guerra ha sottolineato che la cosa più importante per lui è “la fiducia e la solidarietà della società israeliana”, e per questo “è chiaro che questo governo deve essere sostituito al più presto”. Il partito di unità nazionale di Eisenkot, guidato dal ministro Benny Gantz, è entrato nel governo dopo l’attacco del 7 ottobre che ha dato il la alla guerra con un assalto a Israele che ha ucciso 1.200 persone, per lo più civili, mentre 252 persone sono state rapite dai terroristi e portate come ostaggi nella Striscia di Gaza.

Alla conferenza, Eisenkot, il cui figlio e nipote sono stati uccisi combattendo a Gaza, ha criticato Netanyahu per aver creato lo “slogan accattivante” della “vittoria totale” contro Hamas e ha affermato che una guerra contro il terrorismo è una guerra di resistenza, piuttosto che di velocità. Eisenkot ha chiesto di indire le elezioni tra settembre e dicembre del 2024: “Penso che l’ultimo trimestre di quest’anno sia fondamentale per ricostruire la fiducia. Una volta che l’intenso processo di combattimento a Gaza si sarà concluso, tra poche settimane, dovremo stabilire una data elettorale concordata di comune accordo. In caso contrario, compiere ogni sforzo per accelerare democraticamente le elezioni e ravvivare la fiducia in tutti i partiti politici”.

Anche il sostegno internazionale a Israele è diminuito con il protrarsi della guerra, con Washington che ha mostrato poca pazienza per Netanyahu e i suoi alleati di estrema destra. Un sondaggio di aprile ha rilevato che quasi tre quarti degli israeliani pensano che Netanyahu dovrebbe dimettersi, immediatamente o subito dopo la conclusione della guerra, e che la metà vuole elezioni anticipate. Eisenkot ha anche sottolineato la necessità immediata di una commissione nazionale d’inchiesta sul 7 ottobre: “Dobbiamo indagare a fondo quel giorno e il decennio precedente”, ha sostenuto. “Ciò include il mio mandato come capo di stato maggiore dell’IDF, affrontando questioni cruciali sulla strategia. Una commissione nazionale d’inchiesta è fondamentale”. Ha tenuto a mettere in rilievo il suo “profondo senso di responsabilità per quanto accaduto quei giorni”, per poi evidenziare “l’urgente imperativo morale e strategico di restituire gli ostaggi”, riconoscendo “profonde mancanze nell’adempimento degli obblighi fondamentali nei confronti dei cittadini”.

Per quanto riguarda il piano del dopo elezioni, il ministro ha le idee chiare: “Ci vorranno dai tre ai cinque anni per ristabilire la Striscia di Gaza”, aggiungendo che la situazione al confine settentrionale “è molto più complessa [di quanto sostenuto finora dal governo ndr.]”. Eisenkot ha evidenziato come sia chiaro che il governo che era al potere il 7 ottobre “ha fallito completamente” e che il massacro compiuto da Hamas quel giorno ha segnato “il più grande fallimento dalla creazione dello Stato”. La restituzione degli ostaggi, ha detto, è sia “il più alto imperativo morale dello Stato, che ha fallito nella difesa dei suoi cittadini, sia un obbligo strategico di primaria importanza”. Mentre all’inizio c’era un ampio consenso pubblico a sostegno della guerra, otto mesi dopo “sorgono domande, e giustamente, su come terminare questa guerra”.

Mentre la decisione del suo partito di unità nazionale di entrare nel governo all’inizio della guerra “era chiara”, ora – sostiene Eisenkot – “non posso ignorare che recentemente la nostra influenza è stata ridotta”. “Considerazioni politiche e di altro tipo sono state inserite in decisioni che abbiamo votato a porte chiuse”. Per quanto riguarda “il perseguimento della pace con l’Arabia Saudita”, Eisenkot ha dichiarato: “Sembrava che fossimo a un passo da un accordo di pace” che “oggi – invece – sembra piuttosto lontano sia a causa di ciò che è accaduto, sia come risultato delle decisioni di Israele riguardo all’ordine di priorità dei suoi interessi nazionali”.

Il quotidiano israeliano The Times of Israel riporta che Israele sta rifiutando un accordo storico di ‘normalizzazione’ con l’Arabia Saudita, mediato dagli Stati Uniti, perché richiederebbe un percorso diplomatico verso la creazione uno Stato palestinese. “Penso che la pace con l’Arabia Saudita e una nuova gerarchia in Medio Oriente sia un interesse distinto di Israele”, ha detto Eisenkot, spiegando che lavorerebbe per contrastare la minaccia nucleare dell’Iran, dove “è chiaro che il programma nucleare è quello più pericoloso” da quando è stato istituito, sottolineando così un altro fallimento di Netanyahu.

Infine, per quanto riguarda l’economia, ha affermato che nonostante le promesse di Netanyahu di ridurre il costo della vita, “è assolutamente chiaro che le tendenze sono negative e le previsioni per il futuro non sono incoraggianti”. Likud, il partito del primo ministro ha risposto, affermando che i membri del gabinetto Eisenkot e Gantz stanno “cercando scuse per porre fine alla guerra senza raggiungere i suoi obiettivi, e per dimettersi dal governo nel bel mezzo della guerra”. Dichiarazione a cui il Partito di Unità Nazionale di Gantz e Eisenkot ha replicato: “Invece di ottenere risultati in seguito alla manovra sul campo di battaglia, Netanyahu sta brancolando in un campo politico minato ed evitando di prendere decisioni per il bene del Paese. Le guerre non sono vinte dagli slogan”.