La partita di Benny Gantz è di quelle che gli osservatori non sempre riescono a capire fino in fondo. L’ex generale, leader centrista di Unità Nazionale e grande rivale di Benjamin Netanyahu per la carica di primo ministro di Israele, dopo il 7 ottobre 2023 scelse di entrare nel gabinetto di guerra. Una mossa motivata da diverse ragioni. Per dare un segnale di unità del Paese. Per entrare nella “stanza di bottoni” e cercare di indirizzare la gestione di un conflitto che sarebbe stato troppo nelle mani di un premier legato all’ultradestra. Infine, per essere un altro interlocutore all’interno del governo sia per le Israel defense forces che per gli Stati Uniti, visto che l’amministrazione Biden ha fatto capire che considera Gantz in maniera positiva.

L’attenzione sul Libano

Dopo alcuni mesi, però le divergenze con Netanyahu si sono rese troppo evidenti. Al punto che sia il leader di Unità nazionale che l’altro suo collega, l’ex capo di stato maggiore Gadi Eisenkot, hanno deciso di abbandonare. Una scelta che non ha però allontanato Gantz dalla scena politica, né l’impegno dell’ex ministro sul fronte bellico e diplomatico. E lo hanno confermato anche i suoi ultimi viaggi, in cui il leader dell’opposizione di fatto si è confermato un vero e proprio interlocutore nelle più alte sfere della comunità internazionale. Il primo blitz è stato negli Stati Uniti, a Washington. E qui l’ex membro del gabinetto di guerra ha ribadito le sue idee sull’operazione militare in corso. E in particolare su un fatto: che Israele dovrebbe spostare la sua attenzione su Hezbollah in Libano. “Abbiamo abbastanza forze per occuparci di Gaza e dovremmo concentrarci su ciò che sta accadendo a nord”, ha affermato Gantz, “è arrivato il momento del nord e in realtà penso che siamo in ritardo su questo”.

L’incontro con Macron

Sempre a Washington, a margine di una conferenza sul Medio Oriente, l’ex generale ha poi incontrato il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, al quale ha assicurato che il suo partito darebbe a Netanyahu i numeri necessari alla Knesset se servisse per arrivare a un accordo per liberare gli ostaggi. Ma allo stesso tempo, ha chiesto agli Usa e alla comunità internazionale di sostenere un aumento della “pressione civile e militare a Gaza” e su Hamas. Un viaggio che è servito a certificare l’importanza di Gantz nella cerchia dell’amministrazione democratica Usa. Ma che è stato seguito da un altro blitz, questa volta a Parigi (dove il quotidiano Maariv ha anticipato un incontro anche con Emmanuel Macron). Nella capitale francese, infatti, l’ex militare ha incontrato alcune famiglie degli ostaggi insieme al premier e ministro degli Esteri del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, e al presidente del Congresso ebraico mondiale, Ronald S. Lauder.

Come spiegato dai media israeliani e dallo stesso Gantz, nell’incontro non si sarebbe parlato delle trattative con Hamas (perché di competenza del team negoziale). Ma Israel Hayom ha sottolineato che Gantz ha uno stretto rapporto personale con il primo ministro del Qatar risalente ai tempi in cui il primo lavorava alla Difesa. E questa conoscenza rivela quanto sia forte il peso dell’ex generale nella politica israeliana e tra i mediatori tra Hamas e lo Stato ebraico. Un ruolo fondamentale, che assume un certo valore anche alla luce dello stallo nei negoziati e mentre Joe Biden e Kamala Harris appaiono sempre più frustrati dall’atteggiamento di Netanyahu sull’accordo. Non è un caso che in questi giorni in Israele si sia tornato a parlare con una certa insistenza di un governo di unità nazionale sul modello di quanto già avvenuto dopo il 7 ottobre.

Il presidente Isaac Herzog ha chiesto al sistema politico di “fare squadra e sostenere con tutte le sue forze la liberazione di tutti gli ostaggi”. Ma al momento sia l’opposizione che Netanyahu non sembrano propensi a un cambio di rotta. Yair Lapid ieri ha detto che “non esiste una proposta del genere, Netanyahu non la vuole”, ribadendo che sarebbe disposto a un esecutivo allargato ma a condizione di rimuovere i ministri dell’estrema destra: Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich. Gantz non appare intenzionato al momento a ripetere l’esperienza chiusa da alcuni mesi, anche se in Unità nazionale qualcuno non sarebbe così netto. Contrario a unirsi alla compagine di governo è anche l’altro ex alleato di Netanyahu, Avigdor Lieberman. Mentre a lavorare sottotraccia, spiegano gli osservatori, è il partito ultraortodosso Shas, che ha anche un altro obiettivo: mettere alla porta Ben-Gvir.