Sei Punte
Il ricorso all’attribuzione di colpa genocidiaria
“Israele genocida, ostaggi dimenticati”, la realtà è vittima della manipolazione: l’obiettivo è cancellare gli orrori di Hamas
L’uso del termine “genocidio” è abusato e strumentalizzato per gettare fango sullo Stato ebraico I fatti vengono distorti anche sulla liberazione dei civili.
L’Ufficio Centrale di Statistica dello Stato di Palestina ha rilasciato, giorni fa, i dati relativi all’entità della popolazione palestinese a Gaza e nella cosiddetta West Bank. I dati sono aggiornati a pochi mesi fa (metà 2024). A quell’altezza di tempo, e cioè a “genocidio” abbondantemente in corso, la popolazione ammontava a 5.613.463 unità. Nel 2023 (stessa fonte) ammontava a 5.483.450 unità. Nel 2022, a 5.354.656. Si tratta di un incremento con un rapporto abbastanza complesso con l’addebito di genocidio rivolto pressappoco dalla mattina dell’8 ottobre dell’anno scorso a Israele, e reiterato senza sosta nell’arco dei mesi lungo i quali la popolazione palestinese, mentre era vittima dell’azione genocidiaria, aumentava di circa 130.000 unità.
Sono dati che dovrebbero sconsigliare già autonomamente l’uso di quella parola (genocidio), e cioè anche a prescindere dal fatto che a denunciarne la blasfema improprietà e a raccomandarne l’accantonamento si aggiunge la spregevole mozione antisemita che la fa pronunciare. Doveva e deve essere genocidio nonostante il criterio di legge, nonostante l’evidenza contraria dei numeri, nonostante l’assenza del proposito genocidiario e nonostante l’inesistenza di qualsiasi documentazione posta a provare che fosse perpetrato. Perché non era in questione il diritto dei palestinesi di non subirlo: era in questione la necessità di addebitarlo a Israele. Ed era in questione la necessità di negare il diritto di Israele di fare la guerra a chi voleva distruggerlo. Per questo doveva essere genocidio a tutti i costi: perché in questo modo non sarebbe stata e non avrebbe potuto essere ciò che era, cioè la guerra combattuta da Israele contro chi l’aveva cominciata con l’aggressione genocidiaria del 7 ottobre dell’anno scorso. A questo serviva la costruzione del genocidio: ad affibbiare sul bavero dello Stato ebraico, e per trasmissione agli ebrei, la colpa inemendabile al posto della stella gialla.
Non deve sorprendere il fatto che quest’uso insieme violento e contraffattorio di quel termine – genocidio – prosegua in modo tanto più disinibito quanto più si fa plateale la realtà che lo contraddice. Le menzogne infamanti che hanno fatto da rubrica agli innumerevoli capitoli del maestoso romanzo antisemita – il deicidio, la cospirazione per il dominio del mondo, l’inferiorità razziale, la malvagità usuraia – non smettevano di essere diffuse e non cessavano di produrre pregiudizio, discriminazione e violenza quando pure sarebbe stato assai facile prenderle e liquidarle per ciò che erano: menzogne.
La miglior prova, oltretutto, che il ricorso all’attribuzione di colpa genocidiaria abbia quel fine ignobile, che nulla c’entra con le legittime preoccupazioni per la sorte della popolazione civile palestinese, sta nel fatto che essa esclude in radice ogni responsabilità delle dirigenze terroristiche palestinesi che hanno deliberatamente esposto i civili agli effetti del disastro che esse hanno causato. Se non è una guerra, ma un genocidio, quelle responsabilità scompaiono. Ed è anche per questo, per togliere dal campo quelle responsabilità dei capi palestinesi, che il campo di guerra diventa il campo del genocidio.
Dopodiché la realtà può tranquillamente essere trascurata. La realtà di una guerra oscena, che ha prodotto e produce una sofferenza immane per la popolazione palestinese adoperata da Hamas come materia passiva a protezione del proprio esperimento – quello sì – genocidiario, mentre gli ostaggi israeliani continuano a essere torturati e uccisi un po’ alla volta nei tunnel costruiti con i soldi della cooperazione internazionale. Una realtà, quella degli ostaggi, rigorosamente trascurata salvo quando c’è modo di addebitare a Israele il rifiuto delle condizioni che ne consentirebbero la liberazione: la stessa accusa rivolta a Israele qualche mese fa, quando i macellai di Hamas si costringevano (e che dovevano fare, poveretti?) a sparare nella testa di Hersh Goldberg e degli altri cinque visto che il governo israeliano aveva la colpa di volerli liberare.
Le notizie di ieri circa il presunto rifiuto di Benjamin Netanyahu di accedere alle condizioni di cessate il fuoco ipotizzate da uno schema egiziano appartengono alla stessa confezione sbilenca sul corpo di una realtà diversa. Le negoziazioni sono in corso, come ha riferito ieri l’ufficio del primo ministro dopo il rientro dai colloqui del responsabile del Mossad, David Barnea. Ed è evidente che sulle negoziazioni premono, rendendole complicate, sia l’esasperazione della società israeliana sia la consapevolezza della comprovata inaffidabilità della controparte. Ma la rappresentazione fantasiosa del paese preda del pazzo che gioca sulla pelle degli ostaggi per non rinunciare alla prosecuzione della guerra sta al rango delle bufale che chiamano la guerra genocidio.
© Riproduzione riservata