Dopo il cauto ottimismo mostrato dal Qatar, ieri è arrivato il primo stop al negoziato per la liberazione degli ostaggi e la tregua nella Striscia di Gaza. Il messaggio di Israele è chiaro: le condizioni poste da Hamas sono inaccettabili, e la guerra terminerà solo con la vittoria “completa e totale” dello Stato ebraico e la “completa distruzione” dell’organizzazione palestinese.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu, che ieri ha deciso di parlare alla stampa dopo l’incontro con il segretario di Stato Usa Anthony Blinken e mentre quest’ultimo era a Ramallah da Abu Mazen, ha usato parole nette. “Arrendersi alle condizioni deliranti di Hamas porterà ad un altro massacro”, ha annunciato il premier israeliano, che ha poi ribadito di puntare alla “completa demilitarizzazione di Gaza” e che le operazioni militari continueranno “per tutto il tempo necessario, in modo che i terroristi non rialzino più la testa”. Per gli ostaggi, “non smetteremo mai di chiederne la liberazione”, ha detto Netanyahu, “ma il solo modo è la pressione militare”.

Gli ostacoli sulla via dell’intesa

Già prima della conferenza stampa, fonti del governo avevano riferito ai media Usa della ritrosia dello Stato ebraico nell’accettare la bozza fatta trapelare da Hamas. “Il fatto che Hamas chieda agli israeliani di ritirare le loro forze è qualcosa che Israele non accetterà mai”, aveva affermato alla Nbc una fonte dell’ufficio del primo ministro. E dello stesso avviso è stata un’altra fonte dell’esecutivo israeliano ai microfoni della Cnn. Blinken, ieri impegnato in incontri con le più alte cariche dello Stato ebraico e dell’Autorità palestinese, è apparso convinto della necessità di mantenere in vita le trattative, pur consapevole degli ostacoli sulla via dell’intesa. “C’è molto lavoro da fare, ma siamo molto concentrati su questo lavoro e si spera, sulla possibilità di riprendere il rilascio degli ostaggi che era stato interrotto”, ha detto il capo della diplomazia Usa. E il Dipartimento di Stato ha sottolineato che nell’incontro tra Blinken e Netanyahu “sono stati discussi i nuovi sforzi per assicurare il rilascio di tutti gli ostaggi rimasti in mano ad Hamas” così come “l’importanza di aumentare la quantità di assistenza umanitaria che arriva ai civili sfollati in tutta Gaza”.

La stabilizzazione della regione

Per Washington, come visto in questi mesi di guerra, è fondamentale raggiungere la stabilizzazione della regione. E lo si può fare, a detta di Blinken, anche ragionando in maniera concreta sul riconoscimento di uno Stato palestinese, definito il “miglior modo per assicurare una pace duratura e la sicurezza per israeliani e palestinesi e una maggiore integrazione nella regione”. L’impegno di Biden è evidente. Ma in questa fase tutto dipende dalla possibilità che Israele e Hamas, con la mediazione di Egitto, Qatar e Stati Uniti, raggiungano un accordo sulla tregua e sulla liberazione delle persone rapite il 7 ottobre e ancora prigioniere nella Striscia. Ieri la stampa araba ha svelato la notizia del viaggio al Cairo del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che oggi dovrebbe guidare una delegazione della sigla palestinese in un nuovo round di colloqui. Ma parallelamente al negoziato sugli ostaggi vi è anche la complessa partita dell’operazione militare di Israele. Secondo il portale americano Axios, Blinken ha fatto capire a Netanyahu e al ministro della Difesa Yoav Gallant le perplessità di Washington per la possibile offensiva sulla città di Rafah. Per l’amministrazione Usa, l’avanzata delle Israel defense forces nella città dove sono vi sono centinaia di migliaia di palestinesi fuggiti da nord, provocherebbe un doppio problema. Da un lato un’ulteriore potenziale catastrofe umanitaria, dall’altro lato l’esodo dei civili verso l’Egitto, con il rischio che il Cairo rompa i rapporti con Israele. Su Rafah ha lanciato l’allarme anche il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres: “Un’azione del genere aumenterebbe esponenzialmente quello che è già un incubo umanitario, con conseguenze indicibili per la regione”.