L’escalation Libano ormai è una realtà. Fino a ieri pomeriggio, i numeri forniti dal ministero della Salute di Beirut non lasciavano dubbi. Solo ieri, i raid israeliani avevano provocato almeno 350 morti e più di mille feriti. E tra le vittime si sono registrati più di 24 minori. Dopo l’ordine di evacuazione da parte delle Israel defense forces, che hanno invitato i civili ad abbandonare gli edifici dove erano stati individuati depositi e siti di lancio di Hezbollah, i caccia israeliani non hanno dato tregua in tutto il Libano.

Attacco senza precedenti in Libano

Dal sud alla valle della Bekaa, le grandi roccaforti della milizia guidata da Hassan Nasrallah, le bombe sono cadute con insistenza tutto il giorno, segnando un livello di attacchi senza precedenti dall’inizio di questa lunga stagione di tensione cominciata il 7 ottobre. E il panico ha preso il sopravvento tra la popolazione. Nelle campagne intorno a Tiro si sono innalzate colonne di fumo a indicare i colpi dei missili israeliani. A Sidone, migliaia di abitanti hanno deciso di prendere l’automobile e di riversarsi verso nord, in direzione di Beirut. E le autorità libanesi, per accogliere le persone in fuga dal sud, hanno deciso di trasformare le scuole del resto del Paese in centri per gli sfollati.

L’obiettivo di Israele: Hezbollah via dal confine

Sono stati centinaia gli obiettivi colpiti dagli aerei dell’Idf. Una pioggia di fuoco che per il governo israeliano ha un solo scopo: costringere Hezbollah ad allontanarsi definitivamente dal confine. Una richiesta su cui lo Stato ebraico non transige, tanto da avere inserito tra gli obiettivi dell’attuale guerra (quella che coinvolge soprattutto Hamas e la Striscia di Gaza) anche la messa in sicurezza del nord e il ritorno degli sfollati nelle loro case. E per raggiungere questo scopo, le autorità israeliane hanno scatenato un vero e proprio assedio alla milizia filoiraniana. “Stiamo affrontando giorni complessi. Ho promesso che avremmo cambiato l’equilibrio di forza al nord ed è esattamente quello che stiamo facendo” ha detto il premier israeliano Benjamin Netanyahu in un incontro con il ministro della Difesa, Yoav Gallant, e il capo di Stato maggiore Herzl Halevi. Dalla sala di comando del quartier generale dell’Idf, a Tel Aviv, Netanyahu non ha battuto ciglio. “Non aspettiamo una minaccia, la anticipiamo. Ovunque, in ogni teatro, in qualsiasi momento” ha affermato il capo del governo. “Per coloro che non hanno ancora capito, voglio chiarire la politica di Israele”, ha continuato Netanyahu in un video, “chiunque cerchi di farci del male, noi gliene faremo ancora di più”.

Le preoccupazioni della comunità internazionale

Per il premier israeliano si tratta di un momento decisivo. Per una volta, si trova a gestire un fronte in cui anche l’opposizione è concorde nella necessità di una soluzione definitiva al problema. Benny Gantz lo ha chiarito più volte. E anche l’altro leader, Yair Lapid, ha commentato l’escalation in Libano esortando le forze armate a “essere forti e coraggiose e a non avere paura finché tutti i residenti del nord non torneranno a casa sani e salvi”. Il premier, a livello politico, si sente rassicurato. Ma sa anche che la comunità internazionale è molto preoccupata dall’esplosione di questo fronte e dal pericolo che può sorgere a una guerra su vasta scala. Ancora più con un’operazione via terra che qualche fonte della Difesa ha paventato, ma che è stata al momento congelata da parte delle stesse forze armate israeliane. Nessuno vuole un conflitto come quello nella Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti, attraverso il portavoce del Pentagono, Pat Ryder, hanno annunciato l’invio di altre truppe di rinforzo nella regione, senza dare però dettagli su quanti uomini e quali mezzi saranno spediti in Medio Oriente. Mentre già negli scorsi giorni, il Dipartimento di Stato americano ha ribadito che “a causa della natura imprevedibile del conflitto in corso tra Israele ed Hezbollah e le recenti esplosioni in Libano, compresa Beirut, l’ambasciata americana chiede ai cittadini statunitensi di lasciare il Libano finché sono ancora disponibili voli commerciali”.

La posizione dell’Iran

La paura, oltre che per il destino della popolazione libanese, è legata soprattutto al fatto che l’Iran si trovi costretto a intervenire in difesa del suo proxy. Ieri, il presidente Masoud Pezeshkian ha accusato Israele di volere tendere delle “trappole” affinché Teheran scenda in campo direttamente contro lo Stato ebraico. Ma questa dichiarazione rischia di essere interpretata da Nasrallah e dai suoi miliziani non come un segno della “pazienza strategica” iraniana ma come una sorta di abbandono di Hezbollah per tutelare i propri interessi nazionali e la possibilità di riaprire il dialogo con l’Occidente. Un timore che per qualche analista israeliano sarebbe già protagonista di molte discussioni in seno alla milizia. Al punto che gli esperti pensano che questa ondata di operazioni di intelligence e raid possa avere un doppio effetto. Da un lato ridurre l’immagine di potenza dell’Asse della Resistenza erodendo la fiducia tra Teheran e milizie, dall’altro colpire la stessa leadership di Nasrallah e il consenso popolare di Hezbollah.

“Hezbollah vi ha usato come scudi umani”

In questo senso, le parole di ieri di Netanyahu sono state particolarmente importanti. La guerra, ha specificato Bibi, non è contro il popolo libanese ma solo “contro Hezbollah”. “Per troppo tempo, Hezbollah vi ha usato come scudi umani”, ha detto il premier israeliano, “ha messo razzi nei vostri salotti e missili nei vostri garage. Quei razzi e quei missili sono puntati direttamente sulle nostre città, direttamente sui nostri cittadini. Per difendere il nostro popolo dagli attacchi di Hezbollah, dobbiamo togliere queste armi”, ha spiegato il capo del governo. “A partire da questa mattina, l’Idf vi ha avvertito di mettervi al sicuro. Vi esorto a prendere sul serio questo avvertimento. Non lasciate che Hezbollah metta in pericolo le vostre vite e quelle dei vostri cari. Non lasciate che Hezbollah metta in pericolo il Libano” ha concluso. E questo può essere anche un modo per spingere Beirut e la popolazione libanese a premere sul Partito di Dio.