Le pressioni sul primo ministro Benjamin Netanyahu aumentano. In Israele, la protesta per la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas ha raggiunto tutto il Paese. Dopo le deposizioni di ieri alla Knesset delle testimoni degli abusi compiuti dai miliziani nei confronti di ragazze e ragazzi imprigionati nella Striscia di Gaza, l’opinione pubblica appare sempre più convinta della necessità di un’intesa con il Hamas e le altre fazioni. Come confermato anche dalla protesta che ha coinvolto il valico di Kerem Shalom, in cui i manifestanti hanno bloccato per alcune ore l’accesso agli aiuti umanitari per la Striscia chiedendo che il traffico sia vincolato “al ritorno degli ostaggi e al disarmo di Hamas”.

Il governo, attraverso i suoi rappresentanti, sta cercando di proporre un accordo che venga accolto con favore tanto dai mediatori internazionali quanto dalla controparte di Gaza. Ma al momento, le discussioni non sembrano avere portato i frutti sperati, e lo dimostrano le nuove dichiarazioni con cui ieri un alto funzionario di Hamas ha ribadito il rifiuto dell’iniziativa israeliana. Parlando ai microfoni di Sky News Arabia, uno dei massimi esponenti del gruppo in Libano, Osama Hamdan, ha sottolineato che la volontà dell’organizzazione è quella di arrivare a un cessate il fuoco definitivo e “globale” e che “Israele non è serio riguardo la conclusione di un accordo”. Mentre da parte degli esponenti dello Stato ebraico, è stata ribadita la necessità che la tregua sia legata inesorabilmente alla fine di Hamas e della liberazione di tutti gli ostaggi.

Per Netanyahu, che ieri ha parlato alla Knesset in occasione del 75esimo anniversario della nascita dell’istituzione parlamentare del Paese, “non c’è e non ci sarà mai alcun compromesso su questioni che riguardano la garanzia della nostra esistenza e del nostro futuro per generazioni”. Mentre la portavoce del governo israeliano, Ilana Stein, ha dichiarato che “Israele non rinuncerà alla distruzione di Hamas, alla restituzione degli ostaggi e a eliminare la minaccia alla sicurezza di Israele dalla Striscia di Gaza”. Il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, incontrando una delegazione di familiari degli ostaggi ha precisato che i membri del governo sono “pronti a pagare il prezzo per il loro ritorno, compreso un prezzo politico”. Ma lo stesso Smotrich ha rilasciato una dichiarazione estremamente dura: “Non guardo nessuno negli occhi per dirgli: ‘Riporterò tuo figlio vivo’”. Ulteriore conferma delle difficoltà che al momento hanno gli apparati israeliani anche per sapere esattamente quali sono le persone rapite ancora in vita.

La guerra dunque prosegue, mentre in tutto il Medio Oriente si percepiscono con sempre maggiore intensità i pericoli di una tensione su scala regionale. Il Comando centrale degli Stati Uniti, Centcom, ha annunciato di avere attaccato le forze filoiraniane in Iraq in risposta a un nuovo lancio di droni contro le basi occidentali, scatenando però anche la reazione piccata di Baghdad. E secondo molti analisti, l’obiettivo dell’Iran in questa fase è quello di aumentare la pressione sulle forze statunitensi nel Paese vicino per spingerle verso un graduale ritiro. Non si ferma, inoltre, la minaccia degli Houthi nello Yemen. Ieri sono stati rilevati tre missili antinave lanciati verso il Golfo di Aden, di cui due intercettati da un’unità della marina degli Stati Uniti, la Uss Gravely. L’obiettivo era la nave portacontainer M/V Maersk Detroit, battente bandiera americana. Il cargo, tuttavia, non ha riportato né danni né feriti. Resta inoltre sempre caldo il fronte libanese, dove dal 7 ottobre è in corso una guerra a bassa intensità tra la milizia sciita di Hezbollah e le Israel defense forces. Ieri, nel Paese dei Cedri è arrivato anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che, incontrando a Beirut il primo ministro Najib Mikati, ha confermato il sostegno a “ogni azione del governo libanese per evitare l’allargamento del conflitto attualmente in corso a Gaza”.