La diplomazia araba e occidentale si è messa in moto per evitare l’atteso attacco iraniano su Israele. In questa nuova fase del conflitto l’attenzione è tutta spostata su ciò che accade al confine tra Libano e Israele e sull’Iran, al punto da far passare in secondo piano la prosecuzione dell’offensiva dell’IDF a Gaza che è riuscita a portare a segno un altro colpo uccidendo il ministro dell’Economia di Hamas, Abd al-Fattah al-Zari’i. In questo modo il governo di Benjamin Netanyahu afferma di non temere le minacce che oggi sono arrivate da diversi esponenti del regime iraniano e di proseguire nella sua politica di tagliare la testa di Hamas, eliminando tutta la sua classe dirigente. Al-Zari’i svolgeva un ruolo significativo nel dirigere gli sforzi del gruppo per prendere il controllo degli aiuti umanitari che entravano nella Striscia di Gaza e nella gestione dei mercati controllati da Hamas.

I profili

Quest’altro omicidio mirato arriva in un momento difficile per il gruppo palestinese che ha difficoltà a trovare un nuovo leader, una persona disposta ad entrare al primo posto della lista degli obiettivi di Israele, ora che è chiaro che il Mossad può arrivare fino al cuore di Teheran. A prendere il posto di Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran il 31 luglio scorso, ci sono tre nomi: Khalil al Hayya, vice capo dell’ufficio politico e capo negoziatore, Khaled Mashal, ex capo dell’ufficio politico, e Musa Abu Marzouq, alto funzionario di Hamas. Il primo è colui il quale per primo è intervenuto per commentare la morte del leader presentandosi ai media arabi come suo successore. Il secondo è un uomo della Turchia di Erdogan e per questo malvisto dal Qatar, mentre il terzo è quello più debole ma benvisto da Iran e Hezbollah.

I preparativi e il fronte libanese

Dal lato israeliano i problemi sono tanti e di diversa natura. Dal punto di vista militare l’obiettivo è quello di difendersi da un nuovo attacco missilistico, maggiore di quello avvenuto lo scorso aprile, con la partecipazione simultanea dei ribelli Houthi dello Yemen, di Hezbollah libanese, di Hezbollah iracheno e di tutto il cartello denominato Resistenza irachena e di altri gruppi palestinesi o sciiti presenti in Siria. Riguardo ai preparativi delle fazioni sciite, l’Osservatorio siriano per i diritti umani ha rivelato che l’Iran ha portato due camion di armi dall’Iraq in Siria, accompagnati da due auto appartenenti agli Hezbollah iracheni attraverso Albukamal, e si sono diretti a Deir ez-Zor nella Siria orientale. Le fazioni iraniane di Deir ez-Zor hanno annunciato di aver innalzato lo stato di allerta al livello massimo nelle zone sotto il loro controllo e hanno richiamato dal loro congedo membri e capigruppo di nazionalità siriana e non siriana, in mezzo allarme di sicurezza rafforzato. Per quanto riguarda il fronte libanese, sarà il protagonista dell’attacco. Due analisti militari hanno spiegato a “Sky News Arabia”, che sarà quello il teatro principale in quanto Teheran ha deciso di affidare ai suoi alleati un ruolo importante in questa operazione.

L’Egitto si sfila

Per questo il comandante del Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom), generale Michael Erik Kurilla, è arrivato in Israele, mentre a Teheran è atterrato il segretario del consiglio di sicurezza russo, Sergei Shoigu. Questa situazione mette in crisi soprattutto i paesi arabi, come quelli del Golfo, che di recente avevano ripreso i rapporti con Teheran. L’Egitto ha già fatto sapere che non farà parte di una coalizione militare regionale per respingere un potenziale attacco di rappresaglia iraniano contro Israele. Bisogna vedere quindi se ci ritroveremo ad uno scenario simile a quello di aprile, quando un massiccio attacco di droni e missili dall’Iran è stato sventato da una coalizione che comprendeva Israele, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Qatar, Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Resta in piedi l’ipotesi di un attacco preventivo di Israele.

La crisi economica

Passa invece completamente in secondo piano la crisi economica che sta colpendo lo Stato ebraico a causa di una guerra che sembra non avere fine e che potrebbe andare avanti almeno fino alle elezioni presidenziali statunitensi. L’analista egiziano Abu Bakr Al-Deeb, consigliere del Centro arabo di studi del Cairo e ricercatore in relazioni internazionali ed economia politica, ha spiegato al “Riformista” che con l’assassinio di Haniyeh e di Fouad Shukr, leader di Hezbollah, precipitano le speranze di miglioramento dello shekel israeliano che ha ottenuto la seconda peggiore performance globale. Le pressioni negative sullo shekel israeliano sono aumentate in modo significativo fino a diventare la seconda valuta con la peggiore performance al mondo. L’analista prevede la chiusura di 60.000 aziende durante l’anno in corso, poiché diversi siti in Israele hanno sospeso il loro lavoro dopo che a 140.000 lavoratori palestinesi è stato impedito di entrare nello Stato ebraico, mentre molti lavoratori stranieri che operavano in questi siti se ne sono andati.

Massimiliano Boccolini

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