Le pressioni
Israele, per Netanyahu scatta l’ultimatum: prendere o lasciare. E Gallant può diventare un avversario pericoloso
Benjamin Netanyahu è sotto assedio. La pressione internazionale per un accordo con Hamas è sempre più alta. Al punto che dall’amministrazione Biden si parla ormai di un vero e proprio ultimatum. Un’ultima proposta da “prendere o lasciare”, come ha rivelato il Washington Post, che in caso di risposta negativa vedrebbe gli Stati Uniti abbandonare la mediazione insieme a Egitto e Qatar.
Sinwar continua a rifiutare
Joe Biden, del resto, non nasconde più la sua frustrazione. Ieri, a precisa domanda dei giornalisti sul fatto che il leader dello Stato ebraico si stesse davvero impegnando nei negoziati, il presidente Usa ha risposto con un secco “no”. “È sconcertante che il presidente Biden stia facendo pressioni sul primo ministro Netanyahu, che ha accettato la proposta degli Stati Uniti già il 31 maggio e la proposta ponte degli Stati Uniti il 16 agosto, e non sul leader di Hamas Yahya Sinwar, che continua a rifiutare con veemenza qualsiasi accordo” ha dichiarato un funzionario israeliano. E se la tensione con il maggiore alleato di Israele è sempre più intensa, a dilagare e mettere sotto pressione Netanyahu è soprattutto il fronte interno.
I familiari chiedono giustizia
La protesta nelle piazze, costante dal 7 ottobre, è esplosa di nuovo in tutta la sua rabbia dopo la notizia dell’uccisione a sangue freddo dei sei ostaggi i cui cadaveri sono stati ritrovati nei tunnel della Striscia. I familiari dei rapiti chiedono giustizia e un accordo che metta fine a questo supplizio. Una parte minoritaria, i cosiddetti “parenti falchi” come vengono chiamati dalla stampa israeliana, chiedono che non si dia tregua ad Hamas e alle altre fazioni palestinesi. Ma la maggior parte dell’opinione pubblica, quasi tutti i parenti degli ostaggi e l’opposizione sono compatti nella protesta contro il premier e il governo. E lo sciopero scattato ieri in Israele è stato un segnale molto importante, al pari della reazione rabbiosa di Netanyahu trapelata dalla riunione settimanale del gabinetto. Lo sciopero è “una vergogna. Significa dire a Sinwar: ne hai uccisi sei. Eccoci qui a sostenerti”, avrebbe detto il primo ministro. Ma all’interno del governo, la situazione è altrettanto tesa. E le diverse anime dell’esecutivo iniziano ormai a essere più divise. Due in particolare. Una, quella dell’ultradestra, rappresentata dai ministri Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, che sostengono la linea dura, quell’intransigenza dalla Cisgiordania fino alla Striscia di Gaza e al Libano. Una posizione che è contraria anche alle direttive di Washington, e che però trova sponda in un Netanyahu che deve comunque fare i conti con i numeri della sua maggioranza. In cui la destra estrema è essenziale per sopravvivere.
Il ruolo di Gallant
Ma c’è un’altra anima che sta prendendo sempre più forza mediatica (e non solo) all’interno dell’esecutivo, quella di Yoav Gallant. Il ministro della Difesa, figura fondamentale per un Paese come Israele e a maggior ragione in un periodo di guerra come quello che il Paese vive dal 7 ottobre 2023, è da tempo molto distante dalle posizioni espresse da Netanyahu. Sul fronte interno, la sua postura è sempre stata molto vicina ad altri segmenti delle Israel defense forces e dell’intelligence, che hanno chiesto moderazione nei commenti (specie dell’ultradestra) e maggiore pragmatismo da parte del capo del governo. Ma a dividere in maniera probabilmente definitiva Gallant e Netanyahu è stato soprattutto l’atteggiamento avuto dal primo ministro in quest’ultimo periodo riguardo i negoziati sulla tregua e gli ostaggi. In particolare, per quanto concerne la presenza dei militari israeliani lungo il Corridoio di Filadelfia, lingua di terra che separa Egitto e Striscia di Gaza. Giovedì scorso, in un drammatico voto del gabinetto di sicurezza, Gallant è stato l’unico a non sostenere la linea di Netanyahu per mantenere l’Idf in quel corridoio. Una posizione, quella di Bibi, ritenuta dagli Stati Uniti un modo per fare affondare le trattative e considerata dal ministro della Difesa un inutile sfoggio di intransigenza quando in realtà la Tsahal sarebbero in grado di riprendere immediatamente le operazioni militari qualora quella striscia di terra si rivelasse nuovamente un pericolo per la sicurezza di Israele.
La decisione su Gallant
Per il Times of Israel, Netanyahu e i suoi alleati avrebbero praticamente aggredito verbalmente Gallant nell’ultima riunione di domenica, convocata dopo che le Forze di difesa israeliane hanno recuperato i corpi dei sei ostaggi assassinati. E secondo il quotidiano Maariv, Bibi avrebbe già da tempo deciso di rimuovere il ministro della Difesa dal suo incarico. Per il giornale, questo scenario sarebbe visto con grande interesse non solo dalle persone in piazza, ma anche dall’opposizione, e forse anche lo stesso Gallant, che passerebbe per una vittima di Netanyahu. Ma, suggerisce lo stesso Maariv, anche lo staff del premier pensa lo stesso. Ed è per questo che Bibi ha temporeggiato tutti questi mesi: un avversario come Gallant sarebbe pericoloso. A maggior ragione con il pressing della piazza e degli alleati occidentali.
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