Israele prepara l’operazione in Libano: pressing su Netanyahu, una tregua di 21 giorni è possibile

Dopo la Striscia di Gaza, il Libano. Un altro fronte di guerra e un altro fronte diplomatico. In entrambi i casi complesso e non di privo di effetti decisivi su tutto il Medio Oriente. Francia e Stati Uniti, principali promotori di un accordo che arrivi quantomeno a una tregua, hanno pubblicato un documento insieme ad Australia, Canada, Germania, Italia, Unione Europea, Regno Unito, Giappone, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, in cui viene chiesto di giungere il prima possibile a un cessate il fuoco. L’obiettivo della comunità internazionale è fare in modo che Israele eviti quello che appare uno scenario probabile e pericoloso per tutta la regione: l’invasione terrestre del sud del Libano.

La garanzia richiesta

Ma per escludere questa mossa delle Israel defense forces, il governo di Benjamin Netanyahu deve avere una garanzia inequivocabile che il nord dello Stato ebraico venga messo in sicurezza. Ma per raggiungere lo scopo, e cioè per far tornare gli sfollati nelle loro case e far cessare definitivamente gli attacchi di Hezbollah, l’unica garanzia ritenuta valida da Netanyahu è quella di vedere smantellata la rete del Partito di Dio nel sud del Libano. Scenario che prevede la distruzione degli arsenali della milizia, dei suoi lanciamissili e l’allontanamento dei combattenti almeno oltre il fiume Litani. In questo, la politica israeliana appare compatta. Dall’estrema destra interna alla maggioranza fino alle opposizioni, tutti i principali partiti appaiono concordi sul fatto che la questione del “fronte nord” vada risolta in via definitiva. E dopo le indiscrezioni sulla possibilità di un accordo di tregua di 21 giorni che sarebbe stato accettato (verbalmente) da Netanyahu, le critiche sono arrivate da entrambi gli schieramenti. L’alleato più nazionalista, il ministro per la Sicurezza interna Itamar Ben-Gvir, è stato chiaro. “Se il cessate il fuoco temporaneo diventasse permanente ci dimetteremo dal governo”, ha dichiarato dopo avere visto i membri del suo partito, Otzma Yehudit. “La cosa più basilare e comprensibile è che quando il tuo nemico è in ginocchio, non gli permetti di riprendersi, ma lavori per sconfiggerlo”, ha detto il ministro, ribadendo che il suo partito “non abbandonerà i residenti del nord” e che in caso di cessate il fuoco, non sarà nella coalizione di governo.

Netanyahu pressato

E contro questo accordo si è scagliato anche uno dei due grandi leader dell’opposizione, Yair Lapid, che ieri mattina aveva detto di considerare utile la proposta targata Joe Biden ed Emmanuel Macron ma solo per sette giorni, e non 21 come quelli trapelati nelle varie indiscrezioni di stampa. “Qualsiasi proposta avanzata dovrà consentire ai residenti del Nord di ritornare immediatamente sani e salvi nelle loro case e portare alla ripresa delle trattative per l’accordo sugli ostaggi. Qualsiasi violazione, anche la più lieve, del cessate il fuoco porterà Israele ad attaccare nuovamente con tutta la sua forza e in tutte le zone del Libano” ha scritto ieri Lapid su X. Netanyahu, pressato per l’accordo per Gaza, è in una posizione complicata. Molti lo criticano accusandolo di mettersi d’accordo privatamente con i leader internazionali per poi dire il contrario all’opinione pubblica e agli alleati. E in attesa del suo arrivo a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il messaggio è arrivato forte e chiaro: nessuna tregua finché Hezbollah non sarà sconfitto. Una scelta che Yoav Gallant e l’Idf hanno tradotto sul campo di battaglia con l’ok ai nuovi bombardamenti in Libano.

Hassan Nasrallah braccato

“Dobbiamo continuare ad attaccare Hezbollah. Aspettiamo questa opportunità da anni” ha avvertito ieri il capo di Stato maggiore, Herzi Halevi. E i jet israeliani hanno ripreso a martellare il Paese dei cedri dalla capitale fino al confine con la Siria, con un’ulteriore vittima tra gli alti comandanti di Hezbollah: il comandante delle forze aeree, Muhammad Hussein Sarour. L’uomo che secondo l’intelligence israeliana ha gestito molti attacchi con missili e droni contro lo Stato ebraico, e che ieri è stato ucciso a Beirut. Una nuova decapitazione per il Partito di Dio. Che dall’inizio di questa escalation ha visto decine di alti ufficiali uccisi e la sua catena di comando e controllo deteriorarsi di ora in ora. Hassan Nasrallah, segretario generale della milizia, si ritrova sempre più solo e sempre più braccato. Nascosto in una località segreta, è praticamente scomparso dai radar, tanto che ormai parla solo tramite videomessaggi che per molti esperti sono preregistrati in qualche bunker. L’Iran rischia di scaricarlo per evitare una nuova escalation con l’Occidente e l’impossibilità di accordarsi per un alleggerimento delle sanzioni imposte da Stati Uniti ed Europa. Ma Hezbollah ha dimostrato negli anni sono solo di sapere resistere, ma anche di sapere combattere. E per questo l’Idf guarda con molta attenzione a quello che succede tra le file della milizia. Il suo enorme arsenale di missili non è stato distrutto. E in caso di ordine, migliaia di razzi sono puntati su Israele.