Sull’onda dell’euforia per aver sconfitto i proxy regionali dell’Iran e aver indirettamente provocato la caduta del regime di Assad, Israele si aspetta dall’amministrazione Usa che è prossima all’insediamento il sostegno necessario per procedere alla distruzione del programma nucleare iraniano, mentre proseguono le operazioni militari dell’IDF nella zona cuscinetto tra Israele e Siria, sulle alture del Golan e sul monte Hermon, zona questa destinata a rimanere a lungo sotto il controllo di Gerusalemme, fino a quando non si comprenderà chi avrà il controllo della Siria.

Una finestra per colpire l’Iran

Israele dunque sembra prepararsi ad una presenza flessibile in quella regione per valutare una penetrazione più profonda nella Siria controllata dai ribelli, qualora dovesse avvertire che la nuova amministrazione di Damasco rappresentasse una minaccia. In questo modo, contemporaneamente si aprirebbe una finestra per colpire l’Iran. Ora i soldati israeliani sono dispiegati a 30 chilometri da Damasco e non si ritireranno finché non sarà stata rimossa la minaccia al confine, il che potrebbe richiedere da quattro giorni a quattro anni. Nel mirino di Israele vi è ora il programma nucleare iraniano. I collaboratori del primo ministro Benjamin Netanyahu sanno di avere una opportunità unica nel suo genere per colpire il programma nucleare iraniano. Il 7 ottobre, nella sua estrema, orribile, tragicità, sembra stia comportando una grande opportunità per Israele e per l’intero Medio Oriente: quella di eliminare la terribile minaccia militare dalla regione rappresentata dall’Iran e da tutti i suoi alleati per procura.

La minaccia atomica

Ora il governo israeliano potrebbe essersi reso conto che si è presentata un’occasione unica, storica, per completare il lavoro iniziato che è quello dello smantellamento completo dell’arsenale militare che è stato puntato e che si vuole puntare anche col nucleare contro il proprio stato. Un’altra opportunità simile potrebbe non capitare mai più. L’Iran sta infatti barcollando, insicuro e incerto dopo aver visto recisi i suoi tentacoli in Medioriente e dopo essere stato profondamente penetrato nella sua stessa intelligence. Teheran ora è molto più esposta perché senza l’arsenale carico di Hezbollah puntato contro Israele è più che mai vulnerabile ad una potenziale azione di Gerusalemme mirante a disinnescare la minaccia atomica che rappresenta e a depotenziarne fortemente la capacità militare. È bene sottolineare infatti che il motivo per cui gli impianti di stoccaggio del nucleare non sono stati ancora distrutti completamente da Israele è perché Hezbollah aveva rappresentato un fucile puntato contro lo Stato ebraico con i suoi 150 mila missili.

Grande confusione a Tehran

L’Iran aveva trascorso tutti gli ultimi quarantacinque anni a costruire questa capacità di deterrenza nei confronti di Israele creando e forgiando una ramificazione sciita della Repubblica islamica in Medio Oriente. Ora che ha perso la sua punta di lancia nella regione sa che il suo destino potrebbe seguire quello siriano. Non è un caso se a Teheran c’è grande confusione e smarrimento nella leadership sia religiosa che laico-militare. Ora le autorità iraniane si trovano anche ad affrontare pesanti critiche da parte dell’opposizione sia all’interno dello stesso apparato di potere sia tra la popolazione che si oppone alla Repubblica islamica e che definisce l’avventura dell’Iran in Siria, fallimentare, futile e costosa, facendo riferimento alla spesa multimiliardaria sottratta alle finanze dello stato e al soddisfacimento dei bisogni della popolazione. Tra i contestatori vi è anche Heshmatollah Falahatpisheh, un ex presidente del comitato per la sicurezza nazionale e per la politica estera del parlamento iraniano che aveva tenuto diversi incontri con Assad durante il suo mandato. Ha sottolineato in particolare che al despota siriano erano stati concessi oltre 30 miliardi di dollari in prestiti iraniani, ormai perduti.

Questa avventura in Siria è ritenuta scellerata da larghi strati della popolazione iraniana, che stanno accusando tutti i funzionari di Teheran come “complici”, responsabili del trauma collettivo che tutto ciò provocherà anche alle generazioni future iraniane. Tehran cerca di riposizionarsi e dopo la caduta di Assad sta cercando di apportare un cambiamento nella retorica della rappresentazione dei ribelli che fino a prima del 27 novembre venivano bollati come terroristi. Per Teheran ricostruire l’asse della resistenza è una necessità vitale. Senza le sue ramificazioni nella regione la Repubblica islamica è come un cavallo a tre zampe. All’interno dell’apparato di potere militare iraniano si sta tentando di rivolgersi alla nuova leadership siriana nella speranza di ristabilire un punto d’appoggio nell’era post-Assad, aprendo una linea di contatto con la nuova leadership ribelle attualmente alla guida della Siria.

Le due possibilità

Ma intanto gli attacchi israeliani ai siti militari siriani stanno cercando di impedire che l’Iran possa ricostruire la sua rete dei proxy nella regione e con gli intensi bombardamenti nei dintorni di Damasco stanno rendendo ancora più costoso il prezzo di quel che resta della presenza dell’Iran in Siria. Tehran ha solo due possibilità o decide di tentare la via del dialogo con l’Occidente, cosa questa però che lo farebbe apparire ancor più perdente segando di fatto la propria fine o quella dell’emulazione della Corea del Nord. Il regime in Iran è consapevole della propria debolezza, sa che sta perdendo sangue e che per la propria sopravvivenza la strada necessaria è quella di procedere col programma nucleare per ripristinare la deterrenza perduta.

Intanto Netanyahu ha detto: “La caduta del regime islamico dell’Iran è dietro l’angolo. Non ho dubbi che realizzeremo quel futuro insieme molto prima di quanto la gente pensi”. Il video è l’ultimo di una serie di messaggi pubblicati sull’account di Netanyahu su X negli ultimi mesi, apparentemente volti a corteggiare gli iraniani e ad alimentare il fuoco del loro malcontento nei confronti del regime, acerrimo nemico di Israele.