In Cina tutto è grande. I palazzi fastosi del potere, i cerimoniali attenti, i vertici sontuosi e solenni. Non sfugge a questo protocollo la visita di Giorgia Meloni. Che ieri ha compiuto a Pechino una ricevimento culminato nel bilaterale con Xi Jin-Ping. Nel corso del suo intervento, la premier ha ribadito l’importanza di una cooperazione “equilibrata”, che parta dalla reciproca fiducia, con un sistema di regole condivise e stabili. Al netto dell’uscita dalla Via della Seta, una fuoriuscita guidata sapientemente dalla diplomazia italiana, le relazioni bilaterali sono andate consolidandosi e così l’interscambio commerciale: dopo il picco al rialzo del 2022 con 73,9 miliardi, è sceso a circa 66, tenendo conto che la Cina è uno sbocco prezioso per l’export italiano (quarto tra i paesi Ue). Secondo quanto riferito dal Centro Studi di Confindustria nel corso del VII Business Forum Italia Cina a Pechino, un’iniziativa centrale per i rapporti tra i due sistemi industriali (115 le aziende presenti), il potenziale export che l’Italia può colmare raggiunge i 2,4 miliardi per i beni di consumo e i 2 per quelli strumentali. In questo modo si potrebbe anche porre le basi per ridurre lo squilibrio nella bilancia commerciale tra i due paesi con l’Italia, anch’esso al centro delle riflessioni tra i due leader.
Con questo viaggio, che conferma la capacità di Meloni nel costruire solide relazioni internazionali, Roma si è presentata come una sponda privilegiata per una Cina che guarda sempre con attenzione anche a ciò che avviene nel quadrante di maggior interesse per l’Italia, il Mediterraneo. La visita di Meloni si colloca, infatti, in un momento di particolare attivismo cinese sul piano internazionale.

Gli impegni

Nel tamburellare degli eventi, mentre la guerra mondiale ha raggiunto una nuova fase, può essere sfuggito il successo diplomatico ottenuto da Pechino: una dichiarazione congiunta, mediata dalla Cina, da parte di tutte le fazioni palestinesi ovverosia Hamas, Fatah e l’OLP, la prima egemone a Gaza, le seconde in Cisgiordania. Non è una novità l’interesse della Cina per il “Mediterraneo allargato” e per un Medio Oriente sempre più post-americano. Un anno fa proprio la Cina mediò un’inattesa riconciliazione, dopo anni di guerre per procura, tra Iran e Arabia Saudita; nell’occasione i due paesi ribadirono la non-interferenza e rilanciarono la collaborazione bilaterale. Questo senza dimenticare l’impegno della Cina per il reintegro della Siria nella Lega Araba dopo 12 anni dalla sua espulsione; in questi giorni proprio l’Italia ha riaperto relazioni diplomatiche con Damasco interrotte bruscamente con le primavere arabe.

Le fonti della diplomazia

C’è un prima e un dopo questi fatti e il gigante economico cinese ha dimostrato di essere anche un sapiente mediatore. Proprio per questo Meloni e Xi hanno discusso insieme anche tutte le questioni rilevanti per la politica internazionale, dal Medio Oriente in fiamme all’Ucraina passando per l’Indo-Pacifico.
Il Catai – così era chiamata la Cina nel Medioevo – ha consolidate relazioni con il mondo arabo ed è profondo conoscitore del Medio Oriente. La diplomazia non nasce dal nulla ma affonda nei legami culturali ed economici tra i popoli. Le fonti a cui ancora oggi la diplomazia cinese attinge sono da ricercare nell’azione della dinastia Tang (618-907) che costruì una cornice di relazioni con le due potenze allora egemoni nell’area, l’impero persiano sassanide e il califfato arabo omayyade, ma anche nei viaggi, sotto la dinastia Ming, del navigatore Zheng He (1371-1433) che toccarono tutte le aree di interesse geostrategico, dai passaggi obbligati come Malacca, Bab-el-Mandeb e Hormuz, aprendo solide relazioni con l’India, il mondo arabo, l’Africa orientale.

L’era del disordine globale

L’Ottocento e la prima metà del Novecento corrispondono al “lungo secolo dell’umiliazione” culminato con l’invasione giapponese, la dissoluzione territoriale, la svalutazione della moneta (il fapi), l’avvento di Mao e il congelamento entro un ferreo regime comunista. Deng – consigliato dal padre proprio di Xi Jinping più volte osteggiato dalle Guardie Rosse – e il figlio di quest’ultimo hanno inaugurato una nuova fase, innestandosi nell’eredità del passato, forte dell’innovazione. Su Le Grand Continent, Zhang Weiwei, uno degli ideologici di Xi, ha ricostruito l’eccezionalità di uno “stato-civilizzazione” come la Cina, che ha mostrato di saper conciliare i caratteri della tradizione con uno stato modernamente concepito e organizzato. Certo, bisogna aver chiaro che la Cina è una superpotenza impostata con un sistema di capitalismo politico, che nel frattempo si è orientata sempre di più verso un’economia di guerra, come testimoniano gli acquisti di oro sul mercato internazionale. Non è un caso, infine, che la Cina – altro argomento al centro delle discussioni italo-cinesi -, sia la capofila nella produzione tecnologica e, in particolare, nelle auto elettriche che rappresentano una sfida al primato del motore endotermico e del petrolio controllato dalle potenze anglosassoni.
È l’era del disordine globale nella quale a due potenze-guida se ne sono aggiunte altre, nuove, come l’India, oppure risorte come Iran e Turchia. In un mondo così riorganizzatosi, è indispensabile saper parlare con tutti e Meloni ha dimostrato di saperlo fare.

Lorenzo Somigli

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