Under 21 derubata con la Francia, l’Uefa utilizzi il Var per tutti i match e noi italiani smettiamola di fare i cacadubbi

Italy's players are dejected at the end of the Euro 2023 U21 Championship soccer match between France and Italy at the Cluj Arena stadium in Cluj, Romania, Thursday, June 22, 2023.(AP Photo/Raed Krishan)

La Francia ci ha rubato la partita all’Europeo in Romania. Vero. Lo hanno visto 3 milioni e 200 mila italiani, l’altro ieri sera. Dopo di che, diciamo la verità: la cosa ha generato un’indignazione relativa solo perché ne è stata vittima la nazionale under 21, e perché la formula a gironi dell’Europeo prevede possibile rimedio, tutto da realizzare, però, quindi affatto scontato. Ma fosse stato l’Europeo della Nazionale maggiore, avremmo forse chiesto di richiamare l’ambasciatore francese a Roma.

L’Uefa, cioè il governo del calcio europeo, dimostrando un’ipocrisia e un’approssimazione che lasciano basiti, pensa di rimediare introducendo il Var e la goal tecnology dai quarti di finale. Non si capisce perché allora non prevederla sin dall’inizio: ai quarti ci arrivi o meno proprio in virtù di precedenti partite che rischi di viziare grazie a errori targati Cartagine (nel senso che sono di un’altra era).

Se ne ricordino tutti quelli che per un anno hanno animato il dibattito su ‘tecnologia sì o no’ nel calcio, i nostalgici delle valutazioni artigianali cosi romantiche, senza Var tra i piedi. Ore di dibattito televisivo a stabilire se sia utile o meno mettere al riparo il più possibile (mai del tutto, è impossibile) l’operato di un arbitro dall’errore. Detto che quello dell’altra sera è riuscito a dimostrare una scarsezza tale che sarebbe bastato fosse poco più capace per limitare comunque i danni, nel calcio di oggi i valori sono molto vicini. E in quello di domani lo saranno ancor di più.
Crescono talenti a latitudini un tempo impensabili, e il futuro non sarà necessariamente appannaggio solo delle nazioni o dei club più blasonati.

Con l’avvicinarsi dei valori tecnico atletici e ormai anche tattici, che consentono per esempio all’Arabia Saudita di mettere in difficoltà (fino a batterla) l’Argentina che 3 settimane dopo avrebbe vinto il Mondiale, un episodio può decidere partite che hanno un valore simbolico enorme, ma anche economico. Non c’è da scandalizzarsi né da fare i nostalgici che piangono un calcio romantico e meno inquinato dal denaro. In un calcio che non ha certezza di ricavo (ecco perché i maggiori club europei volevano la Superlega, perché avrebbe comportato certezza di entrate quantificabili a priori, favorendo la loro sostenibilità altrimenti a rischio per definizione, oltre che per relativa capacità di un certo management sportivo) un errore arbitrale in una partita di Champions può costare milioni di euro a società che fondano anche su un solo match il loro benessere economico e la loro conseguente capacità di programmazione e investimento sportivo, dunque la capacità di fare risultato e, infine, di aumentare il fatturato e distribuire o negare lavoro.

Diverso è il dibattito di misura, cioè sull’abuso della tecnologia, che può generare a sua volta errori. Ma che la tecnologia assista il merito sportivo non c’è dubbio, e dall’altro ieri sera ne abbiamo una plastica immagine. Più in generale il calcio deve sì ottenere il riconoscimento di essere una vera industria, ma anche iniziare a ragionare da vera industria. Questo significa capacità di investimento maggiore (qui è uno psicodramma fare uno stadio, rendiamoci conto, per favore), e – viste le ultime vicende kafkiane legate alla giustizia sportiva – aggiornare un codice di giustizia per niente appropriato a società che sono aziende economicamente esposte, a volte quotate, che come oggetto sociale hanno un’attività cosi aleatoria e rischiosa che non merita giudizi o penalizzazioni basate su criteri astratti o su condotte mai tipizzate. Insomma, anche il calcio è da riformare, e noi italiani smettiamola di fare sempre i cacadubbi: la tecnologia nel calcio salva la passione dei tifosi, alimenta la sportività perché toglie l’argomento vittimistico e recriminatorio dello scarso arbitraggio, lasciando invece strada al riconoscimento del più bravo, e aiutando così a migliorare mentalità e dunque patrimonio morale delle giovani generazioni, cioè degli italiani di domani.