Sull’approvazione dello Ius Scholae, la nuova legge per la cittadinanza, interviene la Comunità Episcopale Italiana (Cei). Ed è un’entrata a gamba tesa sull’ostruzionismo del centrodestra. La legge è approdata la scorsa settimana alla Camera. La discussione è stata rimandata alla prossima settimana. La proposta lega la concessione della cittadinanza italiana a un percorso scolastico per i minori che non la posseggono dalla nascita. “Ne parliamo da almeno quindici anni, contrapporre il caro-bollette non ha senso“, ha detto in un’intervista all’Ansa monsignor Gian Carlo Perego, Presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e Presidente della Fondazione Migrantes.
Il testo uscito dalla commissione Affari Costituzionali della Camera consiste in due articoli: un bambino nato in Italia o arrivato prima di aver compiuto 12 anni può fare richiesta di cittadinanza dopo un ciclo scolastico di cinque anni. Il percorso può essere composto solo dalle elementari o da alcuni anni di elementari e altri di medie o superiori. La richiesta può essere fatta anche da un solo genitore legalmente residente in Italia. “La riforma della cittadinanza con lo Ius scholae va incontro alla realtà di un Paese che sta cambiando. Spero che le ragioni e la realtà prevalgano rispetto ai dibattiti ideologici per il bene non solo di chi aspetta questa legge ma anche dell’Italia che è uno dei Paesi più vecchi”, ha detto Perego nell’intervista all’agenzia. Basta insomma con la lettura della legge in chiave ideologica e non reale. E la politica di questa realtà deve prendere atto.
“La realtà, e di questo dovrebbe tenere conto tutta la politica, è quella di un’Italia che è cambiata, con cinque milioni e mezzo di migranti che sono un mondo di famiglie, di studenti, di lavoratori. Occorre leggere la situazione e utilizzare lo strumento della cittadinanza per rendere partecipi di questa trasformazione le persone che attendono ma anche gli italiani che sempre si sono dette favorevoli, nei sondaggi sono oltre il 70 per cento, a questo provvedimento”.
Per mons. Perego non si tratta di “mettere in contrapposizione lo Ius scholae allo Ius sanguinis che tutela soprattutto i nostri emigranti all’estero. Ma di tutelare e riconoscere una presenza e una risorsa importante sul piano scolastico e lavorativo, per costruire il futuro del Paese. Se le persone non partecipano alla vita delle città, se non vengono riconosciuti cittadini, rischiano di non sentirsi parte del Paese“. La legge favorirebbe inoltre “una maggiore mobilità in Europa. Il poter diventare cittadini italiani in un contesto europeo aiuterebbe anche una circolarità del mondo migratorio in Europa”.
Il testo non fa alcun riferimento allo ius soli, la legge bloccata che avrebbe concesso la cittadinanza a tutti i bambini nati in Italia. Il relatore del testo è Giuseppe Brescia, del Movimento 5 Stelle. L’ultima legge sul tema in Italia risale al 1992 ed è lo ius sanguinis, “diritto di sangue”, che concede la cittadinanza se si nasce da almeno un genitore italiano. Se un bambino nasce da genitori stranieri in Italia, pur avendo sempre vissuto in Italia, può richiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”.
Contrari alla legge Lega e Fratelli d’Italia. Forza Italia in commissione si è divisa. “Siamo favorevoli al principio ma deve esserci una formazione vera perché un giovane straniero possa avere un percorso di italianizzaizone”, ha detto all’Agi il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani proponendo un percorso di “cinque anni più tre: elementari e medie e un esame finale come fanno tutti i giovani italiani”. Favorevoli invece M5s, Partito Democratico, Liberi e Uguali e Italia Viva.
Poco meno di 877mila studenti nell’anno scolastico 2019/2020, secondo dati del ministero dell’Istruzione, non hanno la cittadinanza. Circa il 10% degli 8,5 milioni di alunni. “Mi auguro che si trovi un compromesso in Parlamento, il dibattito parlamentare va rispettato, quello che mi sconcerta è che si usi come una bandierina per picconare il governo. Io sono uno dei più giovani politici, non devo fare la ramanzina ad altri ma siamo in una situazione in cui i partiti all’opposizione sono più responsabili dei partiti in maggioranza“, le parole del ministro degli Esteri Luigi Di Maio.