Cazzolate
Ben oltre la cittadinanza
Ius scholae serve a far crescere buoni cittadini, l’opportunità che sfugge a chi attacca Tajani
L’ultimo motivo di polemica estiva è stato lo ius scholae: un tema che poi non era altro che un’occasione per piantare vecchie bandierine all’interno della maggioranza sulla questione della cittadinanza, ovvero su un capitolo cruciale del grande problema delle migrazioni. Bisogna riconoscere che i partiti di destra in Italia hanno compiuto dei passi in avanti (più che in altri paesi dove il tema dei migranti condiziona l’esito delle elezioni). Oggi nessuno si azzarda più a sostenere che gli stranieri portano via il lavoro agli italiani e che le migrazioni sono una congiura di George Soros per garantire al sistema delle imprese (multinazionali e non) manodopera da sfruttare a piacimento, facendo strame dei diritti dei lavoratori.
Salvini, da ministro dell’Interno, si procurava voti bloccando dal Papeete l’accesso ai porti delle navi delle Ong cariche di naufraghi. I fatti hanno sempre la testa dura; così l’attuale governo è quello che si è caratterizzato di più con i numeri dei decreti flussi. Ma qualche distinguo deve rimanere. Ce ne siamo accorti anche con l’ultima variante della polemica che ha riguardato il richiamo dell’Ue sull’assegno unico universale (AUU): per ottenerlo, i requisiti della residenza da almeno due anni e della “vivenza a carico” dei figli costituiscono un filtro verso gli stranieri. Le contestazioni alla proposta di Forza Italia (lo ius scholae prevede la concessione della cittadinanza al compimento di un ciclo scolastico e formativo) non hanno riguardato il merito (in effetti la procedura è più selettiva dello ius soli) ma ha infastidito che si sia voluto mostrare un particolare interesse a un problema che da certe forze politiche è tollerato ma non condiviso.
Eppure il ragionamento è molto semplice: come gli immigrati stranieri consentono alle aziende di continuare a lavorare, i loro figli consentono di mantenere aperte le scuole. A Pioltello, dove in vista dell’inizio dell’anno scolastico si è riaperta la polemica sulla chiusura in occasione del Ramadan, bisognerebbe tenere conto che quegli studenti musulmani appartengono a famiglie che lavorano in aziende del circondario. Senza di loro, la scuola sarebbe chiusa. Patrizio Bianchi, allora ministro della Pubblica istruzione, commentò uno sciopero nella scuola per la stabilizzazione dei precari con queste considerazioni: “Non solo non c’è intenzione di fare dei tagli ma di fronte alla riduzione prevista di bambini” che “dal 2021 al 2032 saranno 1 milione e 400mila in meno in classe, con le vecchie regole voleva dire 130mila insegnanti in meno mentre noi non interveniamo su questo. Noi fino al 2026 lasciamo totalmente inalterato il numero degli insegnanti proprio per poter ridurre la numerosità delle classi, ma dall’altra parte tutte le risorse che emergono, anche in presenza di 1,4 mln di bambini in meno rimangono nella scuola”.
È proprio così, la scuola è il solo servizio che vede ridursi la platea degli utenti – per via della denatalità– ma che non ha ridotto il numero dei docenti. Secondo il rapporto Ocse Education at a Glance, in Italia sono 11,44 gli alunni per docente alle primarie (media Ocse: 14,5) e 10,93 nelle secondarie (dato Ocse: 13). Tutto ciò premesso, lo ius scholae è un’opportunità seria. È riduttivo legarla a una pratica strumentale finalizzata a ottenere la cittadinanza (anche se questo obiettivo è necessario, perché l’Italia sta perdendo popolazione residente nonostante il saldo migratorio attivo), ma per far crescere dei buoni cittadini.
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