Ivano Marescotti non aveva paura della morte – “ho paura di morire, come diceva mia nonna: è il modo in cui si muore che fa paura” – “ma la morte di un figlio”, aveva lasciato intendere senza finire, intervistato da Gigi Marzullo nella trasmissione Sottovoce. A 77 anni, dopo una lunga malattia, l’attore e regista si è spento ieri all’Ospedale Civile di Ravenna. Era originario di Villanova di Bagnacavallo in Romagna, lascia la moglie Erika e la figlia Iliade. Anni fa però, nel 2009, aveva perso un figlio, Mattia, a causa di una grave malattia.

“Ciao Mattia, ci vediamo domani, ciao. Aprì gli occhi. Le labbra accennarono un movimento, ma non ne uscì nulla. Non stetti a insistere e lui si riassopì. Uscendo dalla stanza lo guardai, disteso sul letto, fra altri due malati. Pensai che quell’immagine sarebbe stata probabilmente l’ultima di lui vivo”, aveva raccontato l’attore in Fatti veri, il libro di suoi racconti autobiografici che aveva scritto, edito da Vague edizioni. In quel libro aveva raccontato anche la morte del figlio. “Il libro termina con la sua morte e con quella di mia mamma. Ci sono dolori che non si possono superare. Sono andato in scena il giorno del funerale di mio padre e anche di quello di Mattia. È stata la mia elaborazione del lutto. Fu incredibile la sovrapposizione delle risate del pubblico e del mio pianto. Ma è proprio lì che mi sono sentito più vicino a loro, molto di più che accanto alla bara”, ha detto in un’intervista a Il Corriere della Sera.

Una carriera cominciata per caso quella di Marescotti, che prima di fare l’attore si era iscritto alla facoltà di Architettura. Lavorava da impiegato nell’ufficio di Urbanistica del Comune di Ravenna fino al 1981. Tutta colpa di un amico, di un provino fatto per fare un favore, di un’improvvisa malìa che il palcoscenico e la recitazione hanno esercitato su di lui. Aveva raccontato in un’intervista a Gigi Marzullo: “Avevo cominciato a 35 anni, ho cominciato a lavorare decentemente a 40 anni. Prima ero dipendente, impiegato dell’ufficio urbanistica del Comune di Ravenna. Mi piaceva molto ma avevo esaurito la vena”.

È cominciato tutto per caso. “Ospitavo un mio amico attore per caso. Mi disse che il giorno dopo doveva andare a vedere uno spettacolo per sostituire un attore, in una compagnia professionale per ragazzi, che se ne sarebbe andato e le successive repliche avrebbe dovuto sostituirlo lui. Mi disse: ‘Io là non ci vado più, vai tu al posto mio, vedi cosa ti dicono, mi togli un po’ le castagne dal fuoco’. Mi presi un giorno, da Ravenna andai a Bologna, mi presi un giorno di ferie, andai con il mio Ducati Scrambler giallo. Poi una volta lì il regista mi aveva preso per il mio amico, mi disse: ‘Guarda lo spettacolo, ti fai degli appunti, domani lo fai tu. Sei un professionista, vai a braccio’. Io pensai che non mi avrebbero visto più, il mio amico mi disse di andare anche domani. ‘Se ti mandano che t’importa, tanto non sei un attore, mica ti sputtani più di tanto’. E io mi sono anche un po’ arrabbiato e lui mi ha detto una frase storica: ‘Ti do un’opportunità che potrebbe cambiare la tua vita da così a così’. Ho fatto lo spettacolo, pensando mi cacciassero via dopo dieci minuti, ho finito e alla fine il regista mi disse: ‘Bravo, sei meglio di quell’altro’. E per tutto il mese ho fatto lo spettacolo prendendo le ferie dal Comune”.

Marescotti ha lasciato il lavoro, ha studiato al Dams di Bologna. La svolta è arrivata nel 1984 quando ha incontrato Giorgio Albertazzi che lo scelse per interpretare la commedia Il genio scritta da Damiano Damiani e Raffaele La Capria. Prima però si era quasi ridotto a fare il barbone: “Mangiavo panini e dormivo in un sacco a pelo, senza una casa. Ma non ho desistito. Tanti hanno mollato, bisogna pur vivere”. Marescotti ha avuto una carriera molto prolifica, anche internazionale, che gli ha ha fruttato tra le altre soddisfazioni sei nomination al Nastro d’Argento, che ha vinto nel 2004 per l’interpretazione nel cortometraggio Assicurazione sulla vita di Tomaso Cariboni e Augusto Modigliani. Ivano Marescotti non credeva in dio, “non ne ho bisogno”.

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