Né dialettica, né eroismo
Jane Austen, la scrittrice che consacra il “sentimento dell’essere”

Qualcuno per caso pensa ancora che Jane Austen appartenga alla letteratura rosa e sia una scrittrice destinata solo a un pubblico femminile? In realtà la sua rappresentazione della società borghese (allora emergente, tra Sette e Ottocento), la sua indagine sulla psiche umana e la sua riflessione sull’intreccio di “ragione e sentimento” possono competere con l’opera di Balzac e di Tolstoj. Questa estate ho letto Mansfield park (1814), il suo romanzo più complesso (solo a tratti un po’ faticoso), che mette in scena il conflitto tra città e campagna, tra mondo rurale e modernità, e che nella magistrale lettura di Lionel Trilling, il maggior critico americano novecentesco, ha una portata eversiva inimmaginabile. che non avreste mai immaginato, come vedremo tra un po’.
Intanto ripassiamo la trama, una saga famigliare che sembra riecheggiare un po’ Cenerentola. Fanny Price, primogenita di una famiglia indigente e numerosa, da bambina viene affidata ai ricchi parenti di Mansfield Park, gli zii Sir Thomas – un austero conservatore – e Lady Bertram – sciocca e indolente. Cresce insieme ai quattro figli della coppia: Tom, Edmund, Maria e Julia. Da loro viene trattata con sufficienza – resta pur sempre una figlia di serie B – tranne che da Edmund. Spesso a disagio e in condizione di subalternità Fanny cresce però con un forte senso della moralità, della integrità e della compostezza. Sir Thomas si reca ad Antigua per un anno, a prendersi cura delle proprie piantagioni, e durante la sua assenza l’ordine di Mansfield Park – quel mondo nobiliare, immobile – è turbato da un evento. Sopraggiungono da Londra i due fratelli Crawford, Henry e Mary, che rappresentano la metropoli, il nuovo, il mondo industriale, la vertigine della modernità: non tanto corrotti quanto superficiali ed edonisti, pieni di energia e vacui, inclini a non reprimere alcun impulso.
A Henry viene l’idea di rappresentare una pièce teatrale, in cui coinvolgono anche Fanny, Con le prove si spalanca un universo per tutti destabilizzante: nella recita sono messi in discussione ruoli, convenzioni, codici morali. Ma il ritorno di sir Thomas interrompe tutto, e piano piano l’ordine sarà restaurato. Ora, proprio Fanny, la figlia adottata – ma vero “erede” di sir Thomas – , si mostra la più inflessibile nel difendere quella pacata tranquillità, che non va intesa come quieto vivere, ma è un punto di arrivo poiché costa una immensa forza morale, e la adesione convinta a un sistema di valori. Si tratta di una “tranquillità” che può anche conservare lo status quo ma coincide per la Austen con la rinuncia all’egotismo e a una smaniosa, aggressiva affermazione di sé. Fanny vince non agendo. La sua “timidezza” appare scandalosa (per qualche verso mi ha ricordato la manzoniana Lucia). Henry Crawford si innamora di lei ma lei lo respinge perché sa recitare troppo bene ogni parte e dunque non sa chi è veramente (poi lui fuggirà con la cugina di Fanny, Maria, già sposata, causando uno scandalo), così come Edmund si sottrae alla seduzione di Mary. Alla fine si sposano proprio Fanny ed Edmund.
Trilling parla di Mansfield Park nel suo fondamentale saggio Sincerità e autenticità e ha l’ardire di contrapporre Jane Austen nientemeno che ad Hegel! In che senso? Fanny Price, ovvero la Austen, non crede nella dialettica (nucleo della “mentalità moderna”), in quel singolare congegno per cui il male si trasforma nel bene, la purezza ce l’ha solo chi l’ha persa, il sé deve negarsi per realizzarsi, e di ogni evento importa solo cosa diventerà. No, per lei il male resta male e basta, la negazione del sé conduce solo alla sua distruzione, e conta solo l’adesso: «È nelle richieste del momento presente che le cose sono ciò che sono, non nel futuro che si sta per dispiegare».
Inoltre: secondo Trilling la Austen contesta qualsiasi morale eroica (così come fanno Wordsworth e la tradizione rabbinica). Per definire la verità ultima dell’esistenza il critico indica un “sentimento dell’essere” (sentiment of Being): sentimento di esserci (biologicamente), prima di ogni determinazione sociale o culturale, insomma la vita che si giustifica in se stessa, qui ed ora, senza che debba essere riscattata da un eroismo, dallo stile, dal coraggio, dal genio, dalla lotta, dal rinvio al futuro, etc. Il mondo non va rifatto, ed è fondamentalmente buono, come ci ricorda la Torah. La docile, pietosa Fanny aspira a una vita vissuta senza urgenza né ansietà, unicamente per se stessa; lontana da qualsiasi sogno bovaristico di renderla eccitante. Potrebbe anche essere una immagine regressiva ma a me sembra liberatoria: redime l’esistenza incolore e apparentemente priva di significato di tante persone che non si sono “realizzate” né si sono distinte per qualche azione speciale, e anzi che neanche smaniavano di “realizzarsi”, come ad esempio la indolente Lady Bertram, incollata al sofà: la Austen la tratta con tenerezza proprio in quanto scialba, inconsapevole di tutto.
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