Il dibattito
Javier Milei: “Afuera” ma non di testa. I due motivi di speranza e moderato ottimismo sul suo mandato
Ha difetti? Ma certo che ne ha. È bislacco? Perbacco, è il suo marchio di fabbrica l’essere fuori dagli schemi, non a caso fin da piccolo il suo soprannome è stato El Loco. Le sue idee sono tutte sensate e realizzabili? No, molto probabilmente no. È quindi destinato a schiantarsi? Ecco, la risposta a questa domanda è meno certa, perché Javier Milei, il neo-eletto presidente argentino, diventato nel frattempo un fenomeno social mondiale, potrebbe stupirci. Ormai sappiamo tutto dell’economista, ideologicamente anarco-capitalista ma politicamente minarchista (a favore cioè dello Stato Minimo). Sappiamo dei suoi 4 cani con i nomi di economisti liberisti clonati dall’amato mastino Conan, deceduto nel 2017 e con il quale si connette attraverso un medium; sappiamo della venerazione per la sorella Katrina, sua principale consigliera politica; abbiamo visto la sua campagna elettorale con motosega, cartellini di ministeri strappati al grido di “afuera!”, costumi da supereroe; infine conosciamo le sue idee, esposte in numerosissimi libri, articoli, dibattiti televisivi.
I provvedimenti
Ora vediamo i suoi primi passi che, come tutti gli inizi di chi parte da rivoluzionario, non sono immuni da errori. Ad esempio, l’idea del suo ministro per la Sicurezza, Patricia Bullrich, candidata alle presidenziali del principale partito di centrodestra, Juntos, sconfitta al primo turno e ora recuperata da Milei, di richiedere un’autorizzazione per ogni assembramento superiore alle 3 persone era proprio una misura fascista che è stata fortunatamente ritirata. Così come domandare alle associazioni che organizzano le manifestazioni di pagare i costi della mobilitazione delle forze di polizia necessarie a controllarle non è esattamente pratica comune negli stati democratici (altra cosa è vietare il blocco delle strade o richiedere il risarcimento dei danni provocati). Alcuni provvedimenti, tipo la liberalizzazione completa dei diritti di pesca, sono state ritirati; altri, come la riforma del mercato del lavoro, per ora sono bloccati dai tribunali. Infine, certe promesse come la dollarizzazione dell’economia o l’abolizione della Banca Centrale sono state messe in sordina (“la dollarizzazione è un punto di arrivo, non di partenza”, ha dichiarato il ministro dell’Economia Caputo) e di restringere l’accesso all’aborto non si parla più.
Le difficoltà
Tuttavia, per giudicare in modo non affrettato quello che sta facendo El Loco bisogna ricordarsi da dove partivamo. Anche a non voler tener conto del declino argentino cominciato a metà del secolo scorso, se prendiamo gli ultimi 10 anni scopriamo che il suo PIL è rimasto stagnante e, a causa dell’aumento della popolazione, quello pro-capite è diminuito. Questo è avvenuto nonostante gli stimoli fiscali che hanno portato il debito pubblico argentino dal 40 al 90% del PIL e l’inflazione al livello astronomico del 223% a fine 2023 (negli ultimi 4 anni quello interannuale medio è stato del 60%). La svalutazione è dovuta anche alla politica monetaria dissennata della Banca centrale che ha monetizzato il deficit pubblico e, attraverso l’emissione di sue obbligazioni (ripagate con le stampanti della Zecca), ha portato il disavanzo del 2023 al 15% del PIL (5% il deficit governativo, 10% quello cosiddetto quasi-fiscale della Banca Centrale). Un mercato del lavoro bloccato, un settore statale ipertrofico ed inefficiente (l’ufficio stampa della presidenza ha 500 impiegati ma un audit commissionato da Milei ha valutato che ne bastino 50!) e leggi protezionistiche hanno contribuito allo sfacelo argentino che non è stato ancor peggiore sol perché in alcuni anni il prezzo delle materie prime e delle derrate agricole, di cui il paese è esportatore, è stato sostenuto.
Moderato ottimismo
Ciò detto, i motivi che ci inducono a guardare con speranza e moderato ottimismo al tentativo di Milei sono due. In primis il programma, il quale non a caso è stato approvato e supportato dal Fondo Monetario Internazionale, che non è più quello del Washington Consensus, ma molto più sensibile all’interventismo keynesiano. Il nuovo governo come primo obiettivo ha quello di azzerare il deficit statale portandolo dal 5% a zero in un solo anno e – pragmaticamente, nonostante l’ideologia liberista con un temporaneo mix di taglio della spesa (3%) e aumento delle tasse (2%). Le spese che vengono decurtate sono quelle improduttive come i sussidi e gli stipendi inutili, mentre aumentano le prestazioni sociali (buoni alimentari, assegni familiari).
Inoltre, si vuole procedere alla liberalizzazione dell’economia e alla privatizzazione delle imprese statali (audace la proposta relativa alle Aerolinas Argentinas: le azioni verranno regalate ai lavoratori, con la loro competenza gestiranno l’azienda al meglio, ha dichiarato Milei). In politica estera il neo-presidente ha ritirato l’adesione ai BRICS, sostiene l’Ucraina e programma di coordinarsi con l’Occidente di cui si sente parte. Insomma, una prospettiva di governo non proprio peregrina cui chi crede nel liberalismo dovrebbe augurare pieno successo. Non solo per il bene degli argentini ma altresì, e qui sta il secondo motivo, perché per la prima volta assisteremmo a un completo cambio di paradigma culturale simile a quello avvenuto in molti paesi dell’Europa Orientale dopo il 1989: l’adesione convinta e conclamata della classe politica e della maggioranza degli elettori ad un modello che promette pesanti sacrifici iniziali in cambio di una società prospera e basata sulla libertà individuale. Scusate se è poco.
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