Javier Milei, chi è il populista che ha vinto in Argentina: dalla vendita di organi alla guerra all’aborto

Chi è colui che, con una motosega in mano, ha fatto tremare l’establishment argentino ed è diventato Presidente? Qual è il suo rapporto con il mercato? Come sono la sua comunicazione, la sua concezione della democrazia, la sua proposta economica? Ma soprattutto è una persona emozionalmente stabile?
Il 20 gennaio del 2017, nel suo discorso di insediamento, il Presidente statunitense Donald Trump disse: «Stiamo insieme, in un grande sforzo nazionale, per ricostruire il nostro Paese. Oggi non stiamo solo trasferendo il potere da un governo all’altro, o da un partito all’altro. Oggi stiamo prendendo il potere da Washington DC e ridandolo a voi, il popolo. Per troppo tempo, un piccolo gruppo (…) ha prosperato, mentre la gente ha pagato il costo.»
Ad agosto di quest’anno, in un lontano Paese del sud del Sudamerica, la sera delle elezioni primarie che lo hanno visto battere i due candidati dei partiti mainstream, Javier Milei affermò: «Quest’alternativa competitiva non solo darà fine al kirchnerismo, ma darà fine alla casta politica parassitaria, ladra e inutile che affonda questo Paese. Stiamo di fronte alla fine del modello della casta. Oggi abbiamo dato il primo passo per la ricostruzione dell’Argentina.»

All’indomani del primo turno, a fine ottobre, Milei aveva ottenuto l’espresso sostegno dell’ex Presidente Macri (che l’aveva appoggiato tacitamente durante tutta la campagna), della già candidata Patricia Bullrich e di una parte del loro partito, il PRO. Oggi, la federazione Juntos por el Cambio, “Insieme per il cambiamento”, principale forza di opposizione in questi ultimi quattro anni, composta dal PRO, il Partito Radicale e altri partiti centristi, è ufficialmente rotta.

Ieri sera, dopo aver vinto le presidenziali, Milei ha ribadito lo stesso concetto: «Il modello della decadenza è dietro. Oggi riabbracciamo le idee della libertà per ridiventare una potenza mondiale. Oggi finisce un’Argentina e ne comincia un’altra», mentre parlava accanto a uno schermo con scritto “Milei, unica soluzione”. Una sorta di remake creola del MAGA: Make Argentina Great Again.
Il 10 dicembre, Giornata Mondiale dei Diritti Umani, Javier Milei sarà insediato Presidente e guiderà un governo che, in maniera inedita, sarà composto da un numero di esponenti che non condannano la dittatura caratterizzata dal terrorismo di stato, che ebbe luogo tra il 1976 e il 1983.

Chi è Milei, il nuovo presidente dell’Argentina

Javier Milei (52) è un economista libertario e ultraconservatore, che però si auto-definisce “liberale”, la cui carriera politica si limita a mezzo mandato alla Camera dei Deputati, dove è entrato nel 2021. Dopo anni di lavoro nelle aziende di Eduardo Eurnekián, imprenditore molto legato ai governi Kirchner, e di partecipare nei panel di programmi di TV per parlare di economia, Milei ha deciso di scendere in campo.

La comunicazione di Milei

Proprio come altri leader dello stesso colore politico, Milei è riuscito ad attirare l’attenzione di buona parte dei media tramite un discorso di taglio populista, con due slogan molto chiari: attaccare la “casta politica”, e proporre la dollarizzazione del Paese e la chiusura della Banca Centrale.
Nei suoi interventi, Milei si colloca come difensore degli “argentini perbene”, e assicura che i partiti mainstream subiranno le conseguenze della sua vittoria. Così, i suoi sostenitori cantano “la casta ha paura” e altre frasi antisistema, e molti di quelli che lo hanno votato credono che lui, con la sua iconica motosega, taglierà i privilegi dei politici, senza che le sue misure abbiano un impatto sulla vita dei cittadini. Nei suoi meeting politici, Milei alternava l’immagine dell’economista serio con quella dell’agitatore con la giacca di cuoio e, quasi fuori da sé, canta il ritornello di una famosa canzone argentina che recita “Scoppia l’esplosione”.

Milei si è fatto riprendere mentre faceva una mimica di lui che eliminava ministeri: con la voce artificialmente roca (come fanno altri leader populisti di destra), urlava “Ministero della Cultura, fuori! Ministero dell’Ambiente e lo Sviluppo Sostenibile, fuori! Ministero delle Donne e Genere, fuori! Ministero della Scienza e la Tecnologia, fuori! Ministero dell’Istruzione, fuori!”, mentre toglieva pezzettini di carta attaccati a una lavagna, e come altri leader si identificano con uno slogan, lui finisce i suoi discorsi recitando: “Viva la libertà, cazzo!”
Persistentemente, Milei ricorre alla pedofilia e altre forme di violenza sessuale per illustrare i suoi esempi: «Il nostro nemico è lo stato, ovvero un pedofilo in un asilo con i bambini incatenati e ricoperti in vaselina», «Il sistema di distribuzione di fondi dallo stato centrale alle province è come se lei avesse una figlia e vi fosse qualcuno con una dipendenza al sesso, e sua figlia è vittima. Bisogna finire con questo!»

Il mercato e l’apertura alla vendita degli organi

Milei non solo vuole togliere lo stato da ogni sfera della vita cittadina: sembra proprio di interpretare la vita attraverso la lente del mercato.
Ad esempio, per quanto riguarda l’istruzione, il suo programma prevede un sistema di voucher per promuovere la competizione tra le scuole. In un Paese con tantissime scuole pubbliche, ivi comprese le scuole rurali, nelle quali ricevono lezioni i ragazzi delle campagne più isolate, Milei spiega agli elettori che «quelle scuole con meno studenti dovranno chiudere».
Inoltre, da tempo il candidato apre alla compra-vendita degli organi. «Se uno vende un organo perché altrimenti rischia di morire di fame, allora morirà lo stesso, ma così almeno salva una vita». E questo ragionamento, di un semplicismo sbagliato, non è il limite. Alla recente domanda del giornalista Ernesto Tenembaum sulla vendita dei minorenni, Milei rispose «Dipende.»

In un recente dibattito prima delle elezioni presidenziali del 22 ottobre, Milei spiegava ancora una volta la sua difesa del libero possesso delle armi attraverso, appunto, una teoria del mercato: «Il delitto è come qualsiasi altra attività, se ci sono più benefici, cresce. Se tu abbassi il costo al delinquente, il beneficio sale e l’attività aumenta. Se il delinquente non sa se hai un’arma o meno, allora il suo costo sale e la delinquenza cala». Nonostante queste dichiarazioni, e proprio come fanno altri leader populisti, Milei dà dei messaggi in contraddizione con sé stesso: «Il possesso delle armi non è nella mia piattaforma».

Orbene: chi si prenda la briga di andare a leggere il programma di governo da lui presentato, troverà: “Sul possesso delle armi da fuoco proponiamo la deregolamentazione del mercato legale”.
Ma questo fondamentalismo di Milei per il mercato sembra un amore non proprio corrisposto: nella borsa di Buenos Aires, il valore delle azioni in dollari si era fermato proprio il giorno dopo le primarie. E nei giorni successivi a quel voto, il rischio paese era cresciuto e, probabilmente per via del consenso di Milei in vista delle presidenziali, si era stabilizzato in un livello molto più alto di quello precedente alle elezioni. In altre parole, Milei ama il mercato e lo vede come un grande organizzatore del mondo, ma il mercato non era così convinto da un governo dell’economista.

L’Economia secondo Milei: dollarizzazione

Oltre all’aspetto ideologico, c’è la parte economica. Milei, che si identifica con la Scuola Austriaca, è uno dei pochi populisti –in particolare di destra– che citano autori. In un Paese in cui le persone hanno il riferimento del dollaro e altre monete estere perché l’inflazione, di circa il 140% annuale, fa sì che il peso si polverizzi mese dopo mese, Milei ha due proposte concrete quanto impossibili: la prima è quella di “bombardare la Banca Centrale”, anche se nessuno dei Paesi che hanno risolto il problema dell’inflazione l’ha fatto chiudendo la propria Banca Centrale.
La seconda è dollarizzare. In Argentina, uno stato affogato dai debiti, che non ha dollari fisici ed ha miliardi di riserve negative, una dollarizzazione dell’economia equivarrebbe a un’automatica iper-inflazione e salari e pensioni da pochi dollari. Anche se per molti elettori questo rappresenta un problema tecnico complessissimo, per altri significa semplicemente che verrebbero pagati in dollari.

Liberalismo?

Se il liberalismo è un principio cardine delle democrazie occidentali –chiamate, appunto, democrazie liberali–, il rapporto di Milei con la democrazia è leggermente diverso. Tanto è vero che ha spiegato varie volte come, secondo lui, il problema dell’Argentina inizi nel 1916. Proprio il 1916 è stato l’anno in cui è stato eletto il primo presidente risultato dal voto universale (ancora maschile), obbligatorio e soprattutto segreto. In altre parole, in Argentina si considera l’anno d’inizio della vera democrazia.
Dall’altro lato, in più interviste Milei ha spiegato come nei suoi momenti liberi si diverta a tirare le freccette ad una foto di Raúl Alfonsín, il presidente argentino tra il 1983 e il 1989. Anche se il suo mandato finì con un’iperinflazione, Alfonsín è stato il primo presidente eletto dopo l’ultima e più sanguinaria dittatura, ed è visto dalla società argentina come il padre dell’odierna democrazia.

Un’altra caratteristica del liberalismo sono i diritti, sia quelli riproduttivi sia quelli civili. E Milei contesta entrambi. Esattamente come gli altri populisti ultraconservatori, Milei si pronuncia contro l’aborto legale. Se le donne possono abortire in Argentina sin da dicembre del 2020, Milei propone un referendum abrogativo della legge dell’IVG. «L’aborto è un omicidio aggravato dal vincolo di sangue», assicura.
Per quanto riguarda i diritti della comunità LGBTIQ, la vicepresidente eletta, Victoria Villarruel, si è lamentata che esista il matrimonio egalitario, «se c’era lo stesso con le unioni civili.» Dal punto di vista legale, le unioni civili –proprio come in altri Paesi– non sono la stessa cosa del matrimonio.

Sempre nell’orbita del liberalismo, nelle scuole di tutta l’Argentina viene impartito un corso sull’ESI (Educazione Sessuale Integrale), e vi sono numerosi casi di bambini che sono riusciti ad identificare delle situazioni di abusi e pedofilia grazie ai contenuti imparati a scuola. Ma il programma elettorale de La Libertad Avanza (LLA) propone, nero su bianco, «Eliminare l’obbligatorietà dell’ESI in tutti i livelli dell’insegnamento.» La controproposta de LLA è arrivata da Ramiro Marra, excandidato sindaco di Buenos Aires: «No alla teoria di genere. E ai ragazzi dico: guardate pornografia. Io mi sono educato sessualmente così.»

In altre parole, per Milei e LLA la pedofilia conta per la metafora dello stato.
Ma toglie ai minorenni la possibilità di riconoscerla.

A parte ciò, un candidato delle liste de LLA ha spiegato che «gli omosessuali meritano rispetto come gli zoppi, i cechi e i sordi». E Diana Mondino, potenziale Ministra degli Affari Esteri del governo Milei, è stata chiara: «Ribadiamo essere completamente contro l’Agenda 2030.»

Milei, il sedicente liberale, non ha ritenuto necessario esprimersi su nessuno di questi commenti degli esponenti del suo partito. L’intellettuale argentino Juan José Sebreli ha sostenuto che i leader populisti siano dei lúmpenes, un termine originalmente coniato da Marx –il Lumpenproletariat– che nello spagnolo argentino fa riferimento ai marginali, gli esclusi dalla realtà sociale. Da questa prospettiva, è interessante fare un ultimo commento sulla figura di Milei.

La parte superstiziosa emozionale di Milei

Javier Milei menziona costantemente i suoi cani (che hanno tutti nomi di economisti libertari: Murray, Milton, Robert e Lucas), ai quali addirittura ha ringraziato più volte, chiamandoli «i miei figlioli». I cani sono stati clonati da un altro suo cane, Conan, morto nel 2017, e con il quale Milei assicura di avere una connessione telepatica. «La clonazione era una maniera di avvicinarmi all’eternità», disse.

Durante tutta la campagna Milei ha insultato i suoi avversari. E anche qualche mese prima della campagna, si è rivolto pubblicamente al sindaco di Buenos Aires “rosso di merda, stronzo, ti schiaccio come a un verme”, per citare uno tra gli altri esempi. In più, maltratta i giornalisti che gli fanno delle domande scomode, come è successo con Jessica Bossi quando lei gli chiese sul libero possesso delle armi proposto da LLA.

Infine, Milei è riuscito a creare un canale diretto con tanti elettori. Secondo il giornalista Carlos Pagni, in questo momento di grande crisi di rappresentanza, «lui non capisce cosa succede alla gente, come dicono tanti candidati. No: a lui succede lo proprio lo stesso. Lui è arrabbiato, urla e parla di entrare nelle istituzioni della casta con la motosega.»

In questa stessa linea, prosegue Pagni, «Milei, che ha subìto le violenze da parte di suo padre e non è stato appoggiato dalla sua famiglia durante il suo percorso di studi, trasmette di saper esattamente cosa significhi essere bullizzato: bullismo che gli elettori sentirebbero da parte di una classe politica lontana dai loro bisogni. Questo implica una fragilità che quando sei al governo non puoi avere.»

Durante la campagna presidenziale si è saputo che Milei aveva svolto un tirocinio presso la Banca Centrale, esperienza poi non rinnovata. «Aveva detto di saper l’inglese, è stato assegnato nella direzione richiesta ma l’inglese non lo parla. Ma soprattutto non è in grado di rispettare le regole», diceva il suo resoconto.

Secondo il leader riformista e senatore Martín Lousteau, «una persona che sostiene che i genitori potrebbero mandare i loro figli piccoli a lavorare, una persona che si spaccia per rinnovatore anticasta e subito include Bullrich e Macri, una persona che dà a tutti dei “socialisti di merda” e poi offre dei ministeri alla sinistra radicale, è un fasullo. Le norme non scritte della democrazia e quel modo d’interagire sono molto importanti nella politica».
A differenza di Donald Trump, Javier Milei non ha un partito né una struttura politica, e adesso che ha vinto le presidenziali dovrà dimostrare come farà per portare avanti le sue politiche. Ma ha già dimostrato di non avere un rispetto per le istituzioni (le istituzioni liberali, è il caso di dirlo) che limitano il potere dell’autorità. E anche qualora non riuscisse a realizzare tutto il suo programma, il suo governo potrebbe cagionare danni veramente profondi nelle istituzioni e nel tessuto sociale.