JD Vance è il futuro dell’America. Lui, l’hillybilly venuto dal profondo nulla di quel paese periferico e perduto, iconicamente descritto in “Elegia americana”, è l’uomo da seguire, senza pregiudizi, se si vuole provare a gettare uno sguardo sui nuovi equilibri che si stanno delineando negli USA a guida trumpiana.

Equilibri che riguardano anche l’Europa che verrà. Vance, infatti, non è solo un “normale vicepresidente” e non è neppure soltanto il naturale predestinato a guidare la Casa Bianca tra quattro anni, se i repubblicani vinceranno. Egli rappresenta, infatti, l’altra anima della presidenza, che ambisce a influenzarne le politiche, le scelte e le visioni. Di Trump vuole essere il dichiarato ispiratore, senza malcelata ambiguità. E, al di là della retorica che si è spesa sul braccio di ferro con il presidente ucraino Zelensky, nell’atteggiamento di Vance e nelle sue posizioni non c’è solo muscolarismo yankee ma anche molti di quei valori che sono al cuore della cultura europea, in particolar modo, dell’Europa cristiana.

Le pietre miliari

Pochi giorni prima del duro faccia a faccia, Vance ha debuttato come neoconvertito di fronte alla platea del National Catholic Prayer Breakfast, un evento annuale ispirato da Giovanni Paolo II che riunisce ogni anno a Washington millecinquecento personalità del mondo cattolico. Questo è stato il momento in cui Vance, con raro acume politico e con un senso dei tempi inedito e quasi profetico, ha posto le quattro “pietre miliari” del suo mandato: ha “cattolicizzato” le mosse di Trump, ha aperto un nuovo orizzonte rispetto alle posizioni e alla sensibilità tradizionale dei conservatori cattolici americani. Ma, soprattutto, ha scelto di non andare allo scontro con il Papa e i vescovi e, ancor di più, si è implicitamente proposto come nuovo leader dell’American Catholicism che d’ora in avanti non può prescindere da lui per avere una qualche reale influenza su Capitol Hill. Vance ha rivendicato per la nuova amministrazione il compito non solo di difendere la libertà religiosa e le battaglie pro-life, ma anche di proporre una politica estera “peace first” che ha definito in linea perfetta con la dottrina sociale della Chiesa.

L’uomo giusto al momento giusto

È anche a questa che il vicepresidente parla cercando di ricucire strappi che hanno consumato i rapporti negli anni precedenti su temi “sensibili” e marginalizzato la reazionaria comunità cattolica statunitense. Ed è proprio di questa inedita cristianità pragmatica, che vuole tornare protagonista e che ambisce a fare da ponte tra le due sponde dell’Atlantico, di cui il vicepresidente vuole farsi interprete per dare forza e prospettiva alla sua politica. Nel suo agire c’è un che di messianico, uno spirito tutto americano che occorre dunque comprendere. E che si nutre anche del mai sopito sogno di un presidente di fede cattolica e di kennediana memoria. Il cattolicesimo americano vuole uscire dal cono d’ombra e tornare ad avere una voce forte. Questa è la grande occasione e il Vance “nuovo apostolo” è l’uomo giusto al momento giusto.