Cazzolate
Il colpo di grazia alla legge è destinato a fallire
Jobs Act, il referendum-boomerang per la sinistra: Cgil e Pd alla resa dei conti
Difficilmente i quesiti raggiungeranno il quorum

I referendum – soprattutto se abrogativi – sono bombe a orologeria che vengono innestate con molti mesi di anticipo rispetto al momento dell’esplosione. In altre parole, gli elettori quasi sempre finiscono per regolarsi nel voto su quanto passa in quel momento il convento della politica che – come sappiamo – è molto mutevole in archi temporali di una certa consistenza.
Poi c’è l’ostacolo del quorum che avvantaggia una delle posizioni in campo. Non è così nel referendum confermativo, dove si confrontano due significative minoranze di attivisti, delle quali prevale quella che riesce a mobilitare di più il suo elettorato. Per restare nella metafora dinamitarda, può succedere che la bomba venga disarmata e resa inoffensiva durante il percorso oppure che esploda nelle mani stesse dei “bombaroli”, risparmiando i destinatari dell’ordigno. In sostanza può capitare che un atto di aggressione, destinato a coronare una vittoria, si traduca in una sonora sconfitta per i promotori del referendum.
La politica – come la vita – non consente di esprimere irrevocabili certezze. Ma, allo stato dei fatti, è prevedibile che l’offensiva referendaria delle opposizioni politiche e sindacali contro il governo Meloni si traduca in un clamoroso insuccesso politico. Proviamo a mettere ordine nel ragionamento. Sull’autonomia differenziata non si andrà alla consultazione referendaria. La sentenza della Consulta è ineccepibile e mette in evidenza un errore tattico compiuto dal fronte delle opposizioni nell’investire la Corte, sia con i ricorsi delle Regioni sia con la promozione del referendum.
Era molto azzardato ritenere che dichiarasse anticostituzionale l’autonomia differenziata di per sé, quando è chiaramente ammessa da una norma introdotta dal centrosinistra nella riforma del Titolo V, approvata in un referendum consultivo. E non si dimentichi che l’ultimo presidente del Consiglio targato Pd, ovvero Paolo Gentiloni, nel 2018 aveva sottoscritto le relative intese con i governatori (compreso Stefano Bonaccini). Non ci sarebbe voluto molto a capire che i giudici delle leggi – come poi hanno fatto – avrebbero spigolato tra le norme, finendo per fornire una consulenza inconfutabile al governo per una riscrittura corretta della legge Calderoli.
La maggioranza ora è in una botte di ferro: deve solo seguire le indicazioni per formulare e approvare – se ne sarà in grado – una nuova legge ordinaria. Nel frattempo però – come ha sottolineato nei giorni scorsi la Consulta, sia pure a ranghi ridotti – dopo le purghe apportate dalla prima sentenza, la materia da sottoporre al referendum è divenuta così vaga da chiamare in causa la norma costituzionale che, però, non può essere abrogata tramite referendum.
Che cosa succede adesso? Alle opposizioni viene a mancare, nella campagna referendaria, la questione maggiormente trainante (grazie agli argomenti grossolani usati finora) per la partecipazione al voto. Restano gli altri quesiti – tra cui i 4 della Cgil – che sono un regolamento di conti all’interno della sinistra, nel senso che le questioni in ballo si iscrivono nelle politiche del lavoro portate avanti dalla “sinistra di governo” nel corso di un decennio, pur in presenza delle critiche del sindacato. Difficilmente per i 4 quesiti di Landini sarà possibile raggiungere il quorum, anche perché il fronte contrario non è così compatto come lo era sull’autonomia differenziata.
Si apre la caccia al Jobs Act, ovvero al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, a cui occorrerebbe cambiare titolo in “legge Francesco Ferrucci” da quel soldato ferito che – rivolgendosi a Maramaldo, intenzionato a finirlo – lo apostrofò con queste parole: “Vile! Tu uccidi un uomo morto!”. E in effetti quel decreto istitutivo (dlgs n.23 del 2015) è stato talmente mortificato dalla giurisprudenza, anche costituzionale, da essere in attesa del colpo di grazia che – ironia della sorte – non arriverà.
© Riproduzione riservata