Tutti abbiamo riso di Joe Biden e delle sue gaffes senili (l’altro ieri ha chiamato “Putin” il presidente ucraino Zelensky, il quale gli ha risposto “io sono un po’ meglio di Putin”) che gli hanno portato via gli ultimi sodali, fra cui il “front actor” di Hollywood, George Clooney, suo amico personale, il quale gli ha pubblicamente chiesto di ritirarsi. Ma Biden si è ripresentato davanti al plotone d’esecuzione dei giornalisti e, salvo qualche indecifrabile bisbiglio, ha detto cose che potrebbero definire i prossimi quattro anni. Diremo più avanti degli aspetti emotivi, ora demenziali ma più spesso geniali di questo maratoneta del viale del tramonto, sapendo che ad oggi il repubblicano Donald Trump è in testa nei sondaggi, ma ancora lontano dalla certezza di vincere.

Biden è asso nella conoscenza della politica estera, situazioni e protagonisti. Mentre Biden riceveva i capi di Stato e di governo a Washington per rilanciare la Nato, sul suo tavolo nello Studio Ovale si accumulavano i files stampati che rivelano i trucchi usasti dalla Cina per non venir meno alla promessa di non riarmare la Russia, ma riarmandola invece lo stesso con una sottile frode: la Cina ha venduto in ambio di petrolio e gas alla Russia le sue preziose macchine che fabbricano macchine che fabbricano qualsiasi cosa. Queste nuove macchine hanno riaperto la stentata via della vittoria militare a Putin, come i poveri resistenti ucraini sanno bene. Il gap nei numeri dei soldati che possono essere sacrificati come animali premia la Russia che spedisce al fronte e alla morte sbandati e malati mentali ergastolani e mercenari, con riserve infinite. L’Ucraina invece non ha più uomini e ancora poche armi.

Biden e la maggior parte delle nazioni occidentali hanno preso a Washington la grave decisione di non far vincere la Russia e di lasciare formalmente la porta aperta dell’ammissione dell’Ucraina alla Nato, non subito ma quasi. Ciò ha fatto impazzire i vertici del Cremlino tanto che l’ex numero due di Putin. Dmitri Medvedev, uomo facile alla pistola, ha detto che o la Nato o l’Ucraina dovranno sparire dalla faccia della Terra. Parole che rasentano la dichiarazione di guerra sia pure in forma solo teatrale. Ma la Nato, consigliata dal Presidente Biden ha compiuto un passo più importante: un appello accorato e rispettoso alla Cina. Non per fronteggiarla ma per corteggiarla. È la dottrina Biden: se la Russia resta prova del sostegno dell’alleato cinese, non ha risorse per completare il suo riarmo e diventa una papera zoppa. Ma se riusciamo a fare a Pechino l’offerta alla quale sia impossibile dire di no, la pace in Europa sarà salva insieme all’Ucraina e Putin se la dovrà vedere con il ristretto circolo del Cremlino e pagare il prezzo del suo fallimento.

Ma come riuscire a far divorziare Xi Jinping da Putin? Con l’offerta del mercato americano senza il quale la Cina soffoca e offrendo a Pechino la partnership in una nuova divisione del mondo, una specie do nuova Yalta in cui per ora la Russia non può essere invitata se non molla la preda e non fa marcia indietro. Impresa che soltanto Joe Biden può considerare alla sua portata ed è la carta che l’attuale Presidente sta giocando, perché né il suo rivale Donald Trump, né la sua insignificante vice Kamala Harris hanno alcuna possibilità di muovere le giuste leve. È un programma in partnership con il presidente francese Emmanuel Macron che segue l’antica linea del generale De Gaulle: portare in Europa la Russia bianca e separarla dal corpaccione della Russia asiatica, che resta la più ambiziosa preda della Cina: governare tutta l’Asia di terra.

Questo progetto non è un mistero e la sua fattibilità rende di nuovo forte Biden come si è visto alla conferenza stampa in cui si è presentato essere fresco come un’adolescente e pronto a minimizzare le gaffe rovinose degli ultimi giorni. Donald Trump è preoccupato e si presenta ai suoi elettori rifiutando domande scomode. A qualsiasi giornalista che si rivolga a lui con un tono leggermente ostile Trump risponde con voce chioccia “You are a very nasty person”, lei è veramente odioso/odiosa e non le rispondo. Poi afferra il microfono come un profeta impugnerebbe una reliquia e grida: “Faremo di nuovo grande l’America e avremo soldi a palate da spendere per i lavoratori americani e non li spenderemo per gli alleati infingardi che pretendono da noi la loro sicurezza“, o “Io non toglierò il medicare e aumenterò il budget sociale perché fermerò l’emorragia verso Ucraina”.

I trumpiani ieri sono stati accusati di organizzare, secondo quanto scrive il New York Times, dei corpi paramilitari anche se non esistono vere prove. La dinamica interna della politica americana è stata bloccata dalla Corte Suprema che ha riconosciuto a Donald Trump il diritto all’immunità: un ex presidente, come un papa ha diritto alla sua infallibilità e non può essere trascinato per la giacchetta a rispondere di questo o quel reato commesso durante il periodo in cui era il presidente degli Stati Uniti d’America. In tutti i talk show televisivi non si parla che della disgrazia che colpisce l’Unione costretta a scegliere fra due candidati di dubbia consistenza fisica o morale in un paese che ha sempre preferito presidenti nel pieno delle loro forze e capaci di agire con aggressività.

Ma secondo gli ultimi sondaggi il cittadino medio comincia a vedere il leader russo come una minaccia al proprio benessere. Il malcontento per gli aiuti all’Ucraina resta, ma cresce anche il fastidio per le intrusioni russe sulla politica e l’immagine. Dall’altra parte dell’America c’è mister Putin, uno che non molla la presa e parla a voce bassissima dicendo cose terribili. E capisce perfettamente l’inglese come si è visto nelle clip in cui accompagna all’uscita del Cremlino il presidente indiano Modi e mentre si aprono gli sportelli delle macchine del corteo il presidente russo e quello indiano si salutano in inglese: “Thank you, thank you, thank you”. Modi che soltanto pochi mesi fa fu ricevuto come un imperatore alla Casa Bianca e che sembrava aver scelto definitivamente l’Occidente benché il suo paese sia uno dei Brics che ruotano intorno alla Russia. Modi che era già stato portato in trionfo a Washington, una volta in visita al Cremlino non la smetteva di abbracciare Vladimir Putin, paziente come se avesse a che fare con un grosso cane troppo affettuoso.

Il Presidente russo seguita a dare giudizi sarcastici sulla nazione americana, descritta come sofferente dello stesso male che sta uccidendo l’intero Occidente, e che non merita alcuna salvezza. Non si vedono a Mosca reazioni al progetto di Biden sul documento della NATO in cui per la prima volta nella storia si manda un garbato invito al presidente Xi Jinping di non varcare la soglia oltre la quale cesserebbe ogni amicizia e anche in castigo dei mercati e la fine della rispettabilità del governo cinese, da quando sia la NATO che gli Usa si sono accorti che la Cina sta giocando sporchissimo sul territorio europeo dopo aver rifornito alla Russia i macchinari cibernetici con cui produrre qualsiasi tipo di arma. Biden è stato attento a mostrarsi sconfortato, ma non proprio indignato – perché ai i cinesi non bisogna mai mostrare sentimenti troppo crudi e altrimenti si irritano di brutto. Ma deluso perché era convinto di aver barattato a novembre la neutralità cinese in Ucraina in cambio di accordi commerciali vantaggiosi.

Questo il fulcro della difesa di Biden di fronte alle continue richieste di ritirarsi dalla corsa per la rielezione: se non io, chi altro può trattare e tenere sotto pressione i cinesi? Dal pubblico dei giornalisti si leva una voce femminile: “Non credo che possa essere la sua attuale vicepresidente Kamala Harris? E se non lo è, che cosa sa fare la sua vicepresidente? E se è in grado invece di svolgere le sue funzioni in una partita tanto delicata quanto quella cinese, perché non molla e non passa la mano alla sua vice?”. Tormentato da questa domanda cerca di mantenere l’aplomb scattante ed elegante, capace di fare dello spirito su sé stesso e sulle proprie disgrazie, per assicurare un paese che non crede ormai più in lui neanche a Hollywood dove l’attore George Clooney gli ha detto che è ora di fare le valigie. Ma “Sleepy Joe” (Joe l’assonnato, come lo ha sempre chiamato Trump) non ci pensa nemmeno e tutti i giochi sono aperti.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.