Calcio e pandemia
Juventus-Napoli non è una partita tra due squadre ma tra Stato e anarchia

Diciamoci la verità, il risultato più importante di Juventus-Napoli non è e non sarà mai quello sportivo. In gioco, in questa incredibile guerra di tutti contro tutti, ci sono valori ben più importanti dell’esito di una partita del campionato di calcio. In discussione c’è la credibilità dello Stato e della scienza che, almeno fino a questo momento, hanno clamorosamente mancato il loro fondamentale obiettivo: evitare che l’Italia si presentasse, davanti alla seconda ondata del Covid-19, come «nave senza nocchiero in gran tempesta».
Il nostro Paese, da qualche giorno a questa parte, sta offrendo l’immagine peggiore di sé. E cioè quella di un territorio in cui non esistono regole certe, ogni circostanza può essere variamente interpretata e dunque piegata ai propri scopi, ciascuno si comporta come crede nella convinzione di agire nel pieno rispetto della legge. Nella fattispecie, la Juventus si è presentata sul terreno di gioco dell’Allianz Stadium come prevede il protocollo a suo tempo adottato per consentire la ripresa degli allenamenti e delle competizioni tra le squadre di calcio. Dal canto suo il Napoli non è partito alla volta di Torino dopo che l’Asl aveva imposto l’isolamento fiduciario a giocatori e staff tecnico. Si può discutere sull’opportunità di una richiesta di rinvio condivisa da entrambe le società – ipotesi formulata dal presidente napoletano Aurelio De Laurentiis e ben presto tramontata, anche per effetto dei pessimi rapporti tra azzurri e bianconeri – ma questo è un altro discorso. Ciò che preoccupa è il fallimento dello Stato, incapace di adottare una strategia di contenimento del contagio univoca e coerente.
Il risultato è l’anarchia che, tuttavia, non riguarda solo la politica. Nel caos totale, infatti, sembra essere piombata anche la scienza. Il protocollo prevede che una squadra, con due tesserati positivi al Covid e gli altri negativi a 48 ore da una partita, debba scendere in campo. Questa impostazione è stata adottata, a giugno scorso, sulla base delle indicazioni del Comitato tecnico-scientifico (Cts) chiamato a supportare il governo nella gestione dell’emergenza sanitaria. Quello stesso Cts ha richiamato «gli obblighi di legge sanciti per il contenimento del contagio dal virus» e ribadito «la responsabilità dell’Asl competente» nella strategia di contenimento del virus. I paradossi sono evidenti. Ci troviamo in presenza di diverse autorità sanitarie che, anziché perseguire lo stesso obiettivo seguendo gli stessi criteri, si smentiscono facendo piombare il calcio nel caos.
Come se non bastasse, dall’impostazione adottata dal Cts emerge un’irragionevole disparità di trattamento: il cittadino comune che sospetti di essere malato di Covid deve sottoporsi al tampone e, nel frattempo, stare in isolamento al pari delle persone con le quali è venuto a contatto nei giorni immediatamente precedenti; se a essere infettato è un calciatore, invece, i suoi compagni di squadra possono disputare le partite anche a rischio di alimentare il contagio. A questo punto le soluzioni sono due: il Cts deve difendere il protocollo, assumendosi la responsabilità di accrescere la confusione imperante, oppure sconfessarlo, ammettendo di aver suggerito un documento in larga parte inefficace e quindi da modificare al più presto. In entrambi i casi il team di “super-esperti” che supporta il governo dimostra la sua inaffidabilità e la scienza perde qualsiasi legittimazione agli occhi dei cittadini. E l’Italia è sempre più in preda al caos.
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