L’assenza di dibattito
Kamala Harris non è chiara: la superficialità spazza via l’economia dal dibattito Usa
La candidata dem si limita agli incentivi fiscali già noti, come i crediti d’imposta per il primo figlio. La nuova linea dettata dai social penalizza le questioni economiche e i temi legati alla geopolitica
Il discorso e l’intervista di mercoledì alla vicepresidente Kamala Harris sul suo programma economico non ha suscitato grande attenzione mediatica. L’intervistatrice della MSNBC, Stephanie Ruhle, ha ammesso che Harris non ha fornito risposte chiare e dirette, giustificando l’atteggiamento con la complessità delle questioni trattate.
La politica economica di Harris sembra limitarsi a incentivi fiscali già noti, come i crediti d’imposta di $6.000 per il primo figlio, $25.000 per la prima casa e $50.000 per le piccole imprese. Né i mercati né i media sembrano però particolarmente preoccupati da questo atteggiamento. Ruhle – in un’intervista precedente – ha enfatizzato come la scelta elettorale non sia nelle pieghe delle risposte perfette, ma più banalmente tra Harris e Trump, evidenziando la minaccia che quest’ultimo rappresenta non solo per la democrazia ma anche per aspetti cruciali come il libero commercio, l’inflazione, il debito pubblico e la politica estera degli Stati Uniti. Polarizzazione politica all’ennesima potenza! Bisognerebbe invece riflettere sull’apparente assenza di un serio dibattito su questioni economiche fondamentali, dovuta anche alla superficialità imposta dalla cultura dei social non più esclusivo appannaggio delle nuove generazioni. È in questo contesto di totale incertezza e volatilità che va letto l’andamento del prezzo dell’oro oramai a un passo dai $3.000 l’oncia.
L’assenza di dibattito non riguarda però solo tematiche di politica economica ma anche quelle attinenti alla geopolitica, come dimostra la disattenzione dei mercati sul possibile sciopero nei porti della costa orientale degli Stati Uniti (che potrebbe causare disordini logistici, carenze di beni e inflazione) oppure l’acquisizione di missili anti-nave da parte dei ribelli Houthi con il supporto di Russia e Iran. Stando a Reuters, l’Iran avrebbe mediato un accordo per consentire a Mosca di fornire ai ribelli Houthi missili anti-nave avanzati con una gittata di 300 km e velocità ipersonica. Se questa operazione andasse in porto, la crisi attuale nel Mar Rosso e nel Canale di Suez potrebbe peggiorare drasticamente, con conseguenze devastanti: più caos, carenze di beni e un ulteriore aumento dei prezzi, interrompendo così il faticoso ritracciamento dei prezzi delle materie prime e dei costi container dopo i folli rialzi nel 2021-2022.
Unendo i puntini, si potrebbe ipotizzare che questa sia una strategia a basso costo della Russia per destabilizzare l’economia occidentale. E se questi missili fossero trasferiti anche alle milizie filo-russe sulle coste orientali e occidentali dell’Africa? In tal caso, tutto il traffico commerciale tra Asia ed Europa – che cerca di evitare il Mar Rosso – diventerebbe un potenziale bersaglio. Ma, naturalmente, è più facile discutere di un altro taglio dei tassi della Fed di 50 punti base piuttosto che pianificare una risposta a questa crisi imminente.
Un altro fronte critico seguito distrattamente dai mercati è naturalmente quello tra Israele ed Hezbollah. La Casa Bianca e Parigi hanno proposto un cessate il fuoco di tre settimane, che Tel Aviv ha accettato in linea di principio, ma ha chiarito che al termine di questo periodo Hezbollah dovrà cessare ogni attività militare e ritirarsi dal Sud del Libano, come previsto dalla risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, ignorata finora sia da Hezbollah che dagli osservatori dell’Onu sul campo. In caso contrario, Israele riprenderà l’offensiva aerea per distruggere sistematicamente la milizia: sta già preparando un’operazione di terra, anche se sembra più mirata a forzare una soluzione diplomatica per il momento. Hezbollah difficilmente accetterà queste condizioni.
Questo scenario apre le porte a una guerra più ampia in Medio Oriente, che si delinea come un rischio significativo già dall’inizio dell’escalation il 7 ottobre. Una guerra di questo tipo coinvolgerebbe ovviamente Tel Aviv ed Hezbollah, ma alcuni osservatori suggeriscono che le milizie irachene sostenute dall’Iran – dopo aver lanciato un altro missile verso Israele – potrebbero prendere di mira gli impianti petroliferi iracheni. In più, la logica “strategica”, se non quella della politica, potrebbe spingere Israele a colpire le infrastrutture petrolifere iraniane, per togliere all’Iran la capacità di finanziare sia gli Houthi che Hezbollah. E forse anche il loro programma nucleare, su cui Teheran sta cercando nuovamente di ottenere il favore dell’Europa attraverso nuovi colloqui diplomatici.
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