Centinaia di morti tra i manifestanti, otto tra i poliziotti
Kazakistan, rivolta in piazza per aumento costo del gas: spari sulla folla, la Russia invia i militari

Le avvisaglie c’erano state nei giorni passati, poi dall’alba del 5 gennaio è divampata la protesta in Kazakistan con scontri violenti e spari sulla folla. Le prime cifre sono da bollettino di guerra, si parla di 350 vittime tra i manifestanti, repressi duramente, otto poliziotti uccisi e palazzi governativi dati alle fiamme.
Così arriva lo stivale russo per “stabilizzare” la situazione con l’invio da parte di Mosca di migliaia di militari dell’alleanza post-sovietica (sopratutto russi e armeni). L’instabilità kazaka, Paese nel cuore dell’Asia Centrale, preoccupa i due ingombranti vicini: da una parte la Russia, di cui il Kazakistan è un alleato, e dall’altra la Cina, che compra la maggior parte degli export petroliferi del Paese.
LA SCINTILLA – Innescata il 2 gennaio nella città di Zhanaozen, nel nordovest del Paese, per la liberalizzazione del prezzo del carburante raddoppiato in pochi giorni. Le proteste per l’aumento non hanno fatto altro che gettare benzina sul malcontento latente per le disuguaglianze economiche nel Paese, dove lo stipendio medio — circa 55o euro al mese — non riflette le condizioni di vita faraoniche dei pochissimi ultraricchi del petrolio.
Il Kazakistan, 18 milioni di abitanti dispersi su un territorio grande come mezza Europa, è ricchissimo di petrolio, gas naturale, uranio e metalli preziosi. È di gran lunga il più ricco e il più grande tra gli altri «-stan» dell’area: Tajikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, che fanno parte insieme a Kazakistan, Russia e Armenia dell’alleanza post-sovietica Csto.
DISTRUTTI I SIMBOLI DEL POTERE – Malcontento diretto soprattutto verso il presidente Nursultan Nazarbayev. Le statue che lo celebrano nelle città e verso cui si indirizzano gli slogan più feroci sono state abbattute. Nazarbayev, che oggi ha 81 anni, si è dimesso nel 2019 lasciando il posto all’attuale presidente Tokayev, che gli aveva lasciato un ruolo direttivo nel consiglio di sicurezza nazionale. Da mercoledì, per placare i manifestanti, Tokayev ha sciolto il governo, ma Nazarbayev è ancora visto come un “presidente ombra” dai manifestanti.
LE CAUSE – Le elezioni vengono regolarmente vinte dal partito di governo con il 100% circa dei consensi. Nella primavera 2016 un’ampia privatizzazione della proprietà terriera faceva temere che i cinesi si sarebbero ‘comprati il Paese’, così scandivano in strada migliaia di manifestanti, e l’inflazione aveva portato un dollaro a valere 340 tenge, da 182, in poche settimane.
Nel mirino dei manifestanti la liberalizzazione del prezzo del Gpl, che ha comportato il raddoppio dei prezzi. La recente svolta del governo circa la valuta nazionale, il tenge, che è stato deprezzato — strozzando i molti cittadini che avevano acceso mutui e chiesto prestiti poco prima, con la valuta ancora forte, e che ora chiedono una remissione del debito almeno parziale.
Questa crisi bancaria avviata dai prestiti che è sempre più difficile risarcire è precipitata nelle ultime settimane, deflagrando nelle proteste di questi giorni. E poi c’è l’aumento del costo dell’elettricità, in parte legato anche al “crypto-mining”, l’estrazione di Bitcoin e altre criptovalute, che richiede enormi quantità di energia. Un’attività che in Kazakistan, negli ultimi mesi, si è fatta fiorente.
TERRA DI ‘MINER’ – Ultimamente in Kazakistan si sono rifugiati molti ‘estrattori’ di valute elettroniche cacciati dalla Cina con la stretta sul costo dell’energia elettrica. Complice anche il grande laissez-faire del governo rispetto alla costruzione di nuovi grandi server di informazioni che supportano il “crypto-mining”.
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