Sembra una serie televisiva distopica, ma è l’Italia.
Ci sono una serie di banche dati delicatissime: i conti corrente, i bonifici in entrata e in uscita, le proprietà, la storia fiscale, tutto il passato con la giustizia, civile e penale. Tutto, o quasi tutto. Sono i tanto agognati dati che in una società digitale raccontano quasi tutto di ciascuno di noi e, se usati correttamente, permettono con efficacia di combattere una miriade di reati.

C’è un maresciallo della Guardia di Finanza che ne ha accesso in quella Direzione Nazionale Antimafia – la quale forse qualche domanda sulle sue procedure dovrebbe farsela – e che su quelle banche dati avrebbe fatto una pesca a strascico.
C’è una procura, quella romana, che indaga e che è costretta a passare la mano perché incappa in un suo magistrato sotto la cui responsabilità avrebbe operato il finanziere.

C’è un’altra procura, quella perugina, con un procuratore bravo e autonomo, che avoca l’inchiesta ma dalla quale esce tutto sui giornali, con il paradosso di una fuga di notizie su fughe di notizie.
C’è anche il principale partito di opposizione i cui esponenti – anche di minoranza – non sono riusciti in due giorni a proferire mezza parola su questa vicenda.

Ci sono due quotidiani nazionali che si sono distinti per pubblicare più volte questo genere di segnalazioni e che come il Domani in questi giorni con una punta d’imbarazzo parla d’altro o che come la Verità arriva al paradosso di sposare il garantismo ultras, difendendo il finanziere. Ci sono alcuni politici vittime tra cui il buon Crosetto che senza peli sulla lingua ieri si è domandato se esistano “pubblici ufficiali, pagati dai contribuenti, che diffondono indagini costruite ad arte, per infangare o procurare effetti e danni politici”.

E ci sono alcuni giornali, tra cui il nostro, che parlano anche di possibili ricatti o trattative. Perché è evidente che se le ricerche hanno riguardato oltre 100 nominativi, è anche possibile che in questi anni queste informazioni siano state utilizzate non solo come “killeropoli”, ma anche come motivo per avanzamenti o stop alle carriere fuori e dentro la magistratura. O come, per l’appunto, ricatti.

Insomma, l’Italia sta andando in ferie, ma questa serie tv distopica non ce la dimenticheremo nelle vacanze: aspetteremo con ansia la prossima puntata con l’assoluta certezza che sulle procedure per l’accesso ai dati serva far ordine. Da subito.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva